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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

29/05/17

Invasione, è un flusso continuo: ogni giorno traghettati in migliaia dalla Libia


Proseguono con un ritmo incessante le operazioni di sostituzione etnica, secondo il piano imposto da Bruxelles, grazie alla complicità del governo italiano


Invasione, è un flusso continuo: traghettati in migliaia ogni giorno dalla Libia
Foto ANSA

Ormai è un flusso continuo: non passa giorno senza che si registri il traghettamento in Italia di altre migliaia di immigrati. Oltre 1.300 clandestini sono sbarcati in Sicilia lunedì mattina, a bordo di due navi. A Pozzallo è approdata la Gregoretti della Guardia costiera, con a bordo 254 immigrati caricati al largo della Libia. Oltre mille, invece, quelli arrivati al porto di Catania. Domenica sono state 1.040 le persone traghettate dal rimorchiatore italiano Vos Thalassa, fino al porto di Palermo.

A seguito dello sbarco, domenica mattina, di 1.449 clandestini, scaricati al porto di Napoli dalla nave "Vos Prudence" di Medici Senza Frontiere, il Comune ha messo a disposizione gli spazi del Centro Polifunzionale S. Francesco a Marechiaro per l'accoglienza dei circa 65 ragazzi presenti. Con la complicità del governo Gentiloni e della maggioranza a guida Pd, le operazioni di sostituzione etnica della popolazione italiana con masse enormi di africani proseguono quindi con un ritmo incessante.

Sono 86 i clandestini arrivati nella notte tra domenica e lunedì nel Siracusano, in due distinti episodi: in 41 sull'isolotto di Capo Passero e altri 45 ad Avola. I primi, 19 uomini, 15 donne e 7 minori, sono siriani, afghani e iracheni: secondo quanto ricostruito, sarebbero stati lasciati alle 22.30 da una barca a motore di circa 10 metri partita dal porto turco di Izmir. Sono stati recuperati da una motovedetta della Guardia Costiera, che li ha trasferiti alla tendopoli del porto commerciale di Augusta.

Il secondo sbarco è avvenuto alcune ore più tardi, su una spiaggia vicino ad Avola: sono stati lasciati da una barca a vela il cui equipaggio era composto presumibilmente da tre ucraini e che era in viaggio da sei giorni dopo essere salpata dalla Turchia. A bordo 45 immigrati (26 uomini, 9 donne e 10 minorenni), iracheni e iraniani di etnia turca.



A Taormina il G7 delle verità


A Taormina il G7 delle veritàIl G7 di Taormina è stato un flop. Non c’è sintonia tra le potenze economiche occidentali. L’America di Donald Trump balla da sola. Perché negarlo? I capi, impegnati nel frusto rito degli inutili meeting semi-planetari, sono pur sempre portatori di concreti interessi nazionali. Come biasimarli. È naturale che ciascun player punti a migliorare le performance produttive del proprio Paese e a rafforzarne il peso strategico sullo scacchiere globale. Ora, Trump sarà pure rozzo e antipatico ma sa fare gli interessi della sua nazione. Il dato politico rilevante di Taormina è che il presidente Usa ha maltrattato la signora Angela Merkel. Non è questione di galateo. La Germania trae ricchezza da un’economia ingorda che pensa solo a stessa e lo fa a discapito degli altri. Trump, appena insediato alla Casa Bianca, è inciampato in un dossier che non poteva ignorare.
Troppo forte il deficit commerciale tra il suo Paese e la Germania. Un gap che, ai fini della ripresa economica Usa, richiede un riequilibrio della bilancia commerciale non più differibile. Da qui la pressione di Washington sul governo tedesco. Pressione, però, non gradita ad Angela Merkel che aveva pensato, sbagliando, di poter instaurare con il nuovo inquilino della Casa Bianca il medesimo rapporto di disparità che intrattiene con i governi dei Paesi dell’Eurozona. Sono anni, infatti, che Berlino dà lezioni a tutti di rigore finanziario ma si rifiuta di rispettare le regole sul surplus commerciale nei rapporti di scambio con i partner europei. Ma con Trump è cascata male. Già c’era stato un primo assaggio del cambio di clima nei rapporti con l’alleato statunitense nel corso della sua visita ufficiale a Washington: quella stretta di mano che “The Donald” le ha negato in diretta televisiva, era tutto un programma.
A Taormina “Angela” ha provato a spacciarsi per il dominus dell’intero blocco europeo continentale ma “Donald” non ha abboccato. Nell’orizzonte politico del leader americano c’è la fine del multipolarismo, la rinascita della prassi negoziale bilaterale con i singoli interlocutori nazionali e, con l’Europa, non certo il braccio di ferro con un solo uomo/donna-al-comando che parla per tutti. La delusione per il flop di Taormina è stata giustificata con il ripensamento americano sul rispetto degli accordi sul clima stipulati a Parigi. Non è che la cosa non conti, ma è solo la foglia di fico dietro la quale si nasconde un mutamento imminente degli equilibri geopolitici globali. Il guaio è che se Trump ha fatto la sua parte, tocca a noi subire le conseguenze dell’ira funesta della signora Merkel che, tornata in patria, ha parlato apertamente d’insoddisfazione per le conclusioni del vertice di Taormina e, riferendosi a Trump, del fatto che “Il tempo in cui potevamo fidarci completamente degli altri è finito”.
La soluzione per la cancelliera? Un’Europa che faccia a meno dello storico alleato d’Oltreoceano. “Noi europei dobbiamo veramente prendere in mano il nostro destino”: questa la versione di Angela. A dimostrazione che non si tratti di una boutade propagandistica, l’Huffington Post riporta un’indiscrezione pubblicata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung secondo cui esisterebbe un piano segreto tedesco per procedere a tappe forzate a una maggiore integrazione degli Stati dell’Eurozona. Il che, in linea di principio, non sarebbe sbagliato. Ma è forte il sentore di fregatura. Passi per le regole finanziarie che Berlino, via Bruxelles, ha imposto ai Paesi della fascia meridionale della Ue, ma pensare che i tedeschi, liberati dall’ingombro della presenza britannica nell’Ue, allunghino le mani anche sulla macchina bellica comunitaria sarebbe troppo. La signora Merkel vorrebbe costituire a Bruxelles “un comando centrale per un impegno militare comune”. Controllato da chi? Agli ordini di chi? Saremmo tutti più tranquilli se Berlino si tenesse lontana dalla tentazione di manovrare oltre i conti anche gli eserciti. Per la Merkel, Putin e Trump sarebbero minacce da cui difendersi? Ma cosa le passa per la testa? Mai come ora si avverte la mancanza della sagace ironia di Giulio Andreotti che, a proposito dei cugini tedeschi, era solito dire: “Amo tanto la Germania, che ne preferivo due”.
Gentile frau Merkel, faccia in modo da non costringerci a maledire il giorno in cui abbiamo gioito per la caduta del “muro”. Se avessimo saputo a quali guai saremmo andati incontro con il suo avvento al potere, forse quel muro avremmo fatto meglio a lasciarlo dov’era.

28/05/17

Alloro: un toccasana contro il mal di testa, insonnia e l’ansia.



Le foglie di alloro, se vengono bruciate, hanno proprietà e vantaggi inimmaginabili. L’alloro è una pianta che si trova molto facilmente nel nostro paese e nei nostri giardini ed è una tra le erbe più usate nella cosmesi e nella cura di tante patologie. Mettere alcune foglie di alloro in un portacenere e bruciatele per una decina di minuti e noterete che:
– Curano il mal di testa Mal di testa e stanchezza si alleviano bruciando le foglie che rilasciano cineolo, pinene e elimicina. Le foglie di alloro contengono anche linalolo, che aiuta ad alleviare l’ansia. Basta, secondo uno studio della American Association of Nurse anestetici, sentire l’odore di questo composto per 10 minuti per sentirsi meglio.
– Mantengono il sistema respiratorio sano Il mycrene e eugenolo presenti nell’alloro , che inalato dopo averlo bruciato purificano i polmoni e aiutano nella respirazione.
– Riducono il diabete e grassi Le foglie di alloro sono particolarmente importanti nella lotta contro il diabete di tipo 2 e possono facilmente abbassare i livelli di colesterolo cattivo, di glucosio nel sangue e trigliceridi. Consumando le foglie i livelli di zucchero possono ridursi in modo significativo e migliorerà le prestazioni del cuore. Perché sono ricche di antiossidanti, le foglie di alloro aiutano il corpo a produrre più insulina tenendo sotto controllo il diabete.
– Mantengono il cuore sano La rutina presente nelle foglie di alloro rafforza le pareti dei capillari del cuore, impedisce l’aumento del colesterolo cattivo e il cuore funziona meglio
– Prevengono il cancro La presenza di catechine, linalolo, parthenolide, fitonutrienti, essi sono incredibili nella lotta contro il cancro e nella prevenzione dallo sviluppo dei tumori. – Alleviano il dolore Preparare un tè con queste foglie, il loro potere antinfiammatorio curerà mal di testa, mal di denti, artrite e dolori muscolari
– Utilissimo durante la gravidanza Durante la gravidanza vi è un elevato consumo di acido folio, che aiuta a prevenire le malformazioni del feto, prescritto sotto forma di compresse. Basterebbe l’uso di alloro in tutte le forme che ne contiene una quantità elevatissima.
– Aumentano l’immunità La vitamina A assicura la protezione delle membrane del naso, occhi, gola, della bocca, del tratto digerente e polmoni, e non permette nessun batterio o virus di poter attaccare l’organismo. Sono ricche di vitamina C, vitamina A e anche di zinco, utili per rinforzare il sistema immunitario.
– Stimolano la digestione L’alloro viene usato per trattare il colon irritabile e la celiachia, gas intestinali e mal di stomaco.
– Rimuovono la forfora La forfora sparisce, mescolando l’acqua con foglie di alloro, e risciacquando i capelli dopo l’ultimo shampoo. -Infezioni renali Per le infezioni renali preparare : 5 grammi foglie di alloro in 200 ml d’acqua. Fate bollire fino a quando l’acqua è ridotta a 50 ml. Filtrate la tisana e bevete due volte al giorno.
– Prevengono l’insonnia Mescolare alcune gocce di estratto di alloro in un bicchiere di acqua e bere prima di andare a dormire. Calmano e rilassano il cervello e il corpo.



La sindrome di Caporetto avvolge la dirigenza ignorante


La sindrome di Caporetto avvolge la dirigenza ignorante

Come reagirebbe l’Italia tutta se da un pulpito, girovagante per piazze e strade, si desse al suo popolo del traditore, del vile, dello storicamente ignavo? Dati i tempi (non sappiamo se per fortuna) non ci toccherebbe la fine di Dante, scamperemmo l’esilio. Perché da tempo inveterato chi governa l’Italia o parte di essa si schiera comunque con i vili, ritenuti a torto o ragione i più fedeli figli della patria.
Con questo non si vuole certo giustificare l’antitalianità, ma rammentare come il tricolore ci sia cascato in testa per caso (il verde era l’azzurro sbiadito delle armate napoleoniche). Ma i gesti eroici e politici di tanti uomini hanno dato dignità e onore ad una patria unita per caso, col sangue e sulla pelle di tanta gente comune. Quindi non si comprende come si possa su questa materia umana costruire partiti e gruppi politici che interpretino le necessità di tutti, il cosiddetto bene comune. Ecco che sarebbe oltremodo utile introdurre sia l’esame di lingua italiana per i nuovi (i cosiddetti migranti) che di storia patria per chiunque nutra velleità politiche. Ma quanti eletti dai municipi alle camere sanno che Caporetto  oggi si chiama Kobarid (nome sloveno)? Oggi Caporetto è un municipio della Slovenia occidentale, un Paese di confine con l’Italia. Eppure quando per gli austriaci s’appellava Karfreit per noi tutti era Caporetto. La posizione strategica nella valle dell’Isonzo, oggi lontano dai riflettori della cronaca custodisce le salme di 7014 soldati italiani morti durante la Prima guerra mondiale. Ma da quando è di scena la Seconda Repubblica in questo paese di vili, opportunisticamente smemorati, nessuno osa più ricordare quel sacrificio (meditare sul precedente storico), che per una nazione normale ricorrerebbe come atto fondante del comune senso della patria. Ricordare Caporetto, e perché non si ripetano atti di viltà e sconfitte nazionali.
8 luglio 1919, Giuseppe Prezzolini scriveva così della tragedia di Caporetto “Senza entrare nei particolari che ancora a nessuno è dato raccogliere con sufficiente cura per istruirne il processo storico, questo è certo e fondamentale: che non si tratta di una catastrofe militare, derivante soltanto da errate disposizioni d’un generale o di uno stato maggiore, o unicamente da un tradimento, o principalmente da inferiorità d’armi e di uomini; bensì da un disgregamento morale, repentinamente rivelatosi, in un momento critico e sopra una così larga parte dell’esercito, da far perdere a questo, in un periodo di pochi giorni, due terzi della sua efficienza bellica, quasi tutto il suo materiale di guerra, posizioni conquistate in due anni e mezzo di dura lotta.
Come mai ciò è potuto avvenire, senza che le classi dirigenti del paese ne avessero il minimo sentore, senza che il Comando dell'esercito ne comprendesse la vastità, l'importanza, l'irreparabile gravità? Son questi i problemi più interessanti”. Prezzolini (classe 1882) passerà a miglior vita nel 1982, dopo aver indagato sulle ragioni dell’imperitura ignavia politica italiana, che di Caporetto oggi può vantarne più di una. E sembra proprio che l’indifferenza e l’ignoranza storica della nostra classe politica, già fotografata da Prezzolini, abbia negli ultimi anni fatto nuovi e più significativi passi verso la barbarie, l’ignavia ed il senso diffuso di disfacimento del sentimento di solidarietà nazionale. Peggiorato è il paese e con lui la classe dirigente. Così possiamo considerare come delle nuove Caporetto le tragedie dimenticate dei terremotati come degli alluvionati, dei disoccupati come delle vittime della giustizia, della sanità, del rimpallo di competenze, degli iter burocratici come delle cartelle esattoriali sbagliate di Equitalia, consorzi di bonifica, enti territoriali, municipalizzate...
Ed i nuovi martiri vestono i panni del novello milite ignoto, sotto mentite spoglie di artigiano, operaio, professionista, disoccupato, pensionato. Ma la classe dirigente continua indifferente la propria scalata, e nemmeno il rimorso di futura memoria storica riesce a frenarne il passo. Ma che ne sanno gli amministratori di TrenItalia o di Alitalia della patria tradita e infranta? Come può un Renzi, e chi è con lui, ricordare che necessita riscattare il paese dalle tantissime Caporetto? Dobbiamo anche stare attenti a sventolare il riscatto patrio, potrebbero tacciare di fascismo questo sentimento diffuso e silente. Ecco che la storia patria dovrebbe assurgere a cruna di ago da cui far passare le gobbute velleità politiche. Perché il senso di disarmo e di disfatta può essere fermato solo curando la sindrome di Caporetto di cui soffre (anche malevolmente) la nostra classe dirigente.

L’«inganno» della non differenza



Gli studi psicosociali dimostrano che i figli di genitori same-sex crescono allo stesso modo dei figli di coppie eterosessuali? Le cose non stanno così. Un’importante «analisi critica»


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«Il diritto alla genitorialità da parte di coppie omosessuali è spesso motivato dai risultati delle ricerche condotte in ambito psicologico». E ci vuole coraggio per proporre una «analisi critica» delle «ricerche più significative condotte su questo tema dagli anni Novanta fino ad oggi». Ci vuole coraggio per gettarsi accademicamente in una disputa di così «grande intensità emotiva e ideologica», e per farlo proprio nei giorni in cui illustri colleghi sono chiamati a giustificarsi davanti al proprio ordine professionale per non essersi “aggiornati” al mainstream (vedi il caso Ricci). Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università cattolica di Milano questo coraggio ce l’ha. E infatti ha appena pubblicato Omogenitorialità, filiazione e dintorni (Vita e pensiero), un testo «denso e prezioso» in cui le principali “prove” della presunta uguaglianza tra genitori omosessuali ed eterosessuali sono analizzate e commentate con la serietà e il rigore scientifico trasmessi all’autrice Elena Canzi da due maestri indiscutibili come Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, che firmano la presentazione.
9788834333419Gli studiosi della Cattolica non cercano di nascondere gli «inevitabili squilibri» che sorgono nelle coppie dello stesso sesso che decidono di mettersi in casa un bambino («Un esempio: come affronta la madre sociale la preferenza dei bambini per la “madre di nascita”?»). Anzi, invitano a porsi sistematicamente il problema, superando il «must omologante» – Scabini e Cigoli lo chiamano proprio così – che «impone» a tanti ricercatori di equiparare le «assai diverse condizioni di relazione» e perciò li «rende incapaci di vedere gli aspetti differenziali dei tipi di coppie».
Il libro mette in fila, documentandole con 50 pagine di schede analitiche di alcuni degli studi più citati dalla letteratura scientifica, tutte le «problematiche (campioni di convenienza, loro limitatezza ed eterogeneità quanto a tipo di filiazione, povertà di ricerche longitudinali ecc.) già rilevate da chi ha a cuore il dibattito sulla ricerca più che l’affermazione ideologica che “la ricerca dimostra” come non vi siano differenze nello sviluppo tra bambini di coppie omosessuali ed eterosessuali».
Riguardo ai campioni utilizzati, spiega Canzi introducendo il capitolo centrale del libro, dedicato ai figli, «nella stragrande maggioranza dei casi non sono rappresentativi della popolazione e anche qualora lo siano, sono al loro interno molto eterogenei». Gli autori degli studi spesso sono costretti a espressioni generiche come “figli di almeno un genitore omosessuale”, dentro le quali però sono ammassati «sia figli “pianificati” di coppie omosessuali (tramite adozione, o tecniche di fecondazione artificiale), sia figli di coppie omosessuali ricostituite in seguito a un divorzio, sia figli che hanno un genitore omosessuale, ma non all’interno di una forma familiare omogenitoriale». Alla base di questa lacuna c’è la difficoltà di “ricostruire” le singole vicende e la scarsità di informazioni («l’ampiezza numerica degli studi longitudinali più citati si riduce di molto se consideriamo il fatto che molti utilizzano lo stesso database», ricordano Scabini e Cigoli). E per simili ragioni, nelle indagini sul grande problema del «vuoto d’origine» sperimentato dai figli della provetta, i dati a disposizione sono ancora meno significativi, tanto è «limitata» la «numerosità campionaria». Eppure la questione non è di poco conto, anche perché non riguarda solo le coppie gay. Idem per le ricerche sull’adozione.

Vince l’amore, perde la genealogia
Quanto alle fonti dell’informazione, si legge nel libro, «molte ricerche utilizzano strumenti self-report somministrati solo ai genitori (o uno di essi) e interpretano le informazioni raccolte come un dato relativo al benessere dei figli». Il che da un punto di vista metodologico non appare correttissimo, visto che i genitori omosessuali, «avendo investito moltissimo in questa causa e avendo una notevole pressione a dimostrare la propria adeguatezza, tenderanno a enfatizzare prevalentemente gli aspetti positivi della loro esperienza familiare». Un altro difetto che rende la produzione scientifica sull’omogenitorialità «frammentata e parcellizzata» è l’incompatibilità degli strumenti di misurazione adoperati nei diversi studi. Studi che risultano perciò «difficilmente confrontabili».
E mentre l’analisi critica del Centro Famiglia della Cattolica avanza, sullo sfondo incombe sempre quel «must omologante» che spinge tutte le indagini nella stessa direzione (l’arcobaleno), e che qua e là assume un’evidenza incontestabile generando incoerenze clamorose. Non di rado, ad esempio, nei sondaggi sull’esercizio del ruolo genitoriale, le coppie gay risultano migliori delle altre. Il che è perfettamente logico: si tratta in maggioranza di coppie di donne, e se tutto quel che conta per essere genitori è “l’amore”… Che ne è, però, del padre? Il «must» è talmente radicato che alcune ricerche danno per scontato, senza fornire spiegazioni, che il ruolo paterno sia svolto dalla madre sociale. Ma «che cosa hanno in comune le madri sociali lesbiche con i padri eterosessuali? Il fatto di non essere la madre di nascita?», domanda Canzi.

L’aspetto simbolico dimenticato
Per tutti questi motivi, Scabini e Cigoli hanno un giudizio molto netto riguardo al «corpus delle ricerche presentate»: la «tesi della “non differenza”» risulta «di tutta evidenza» una «forzatura». Mentre «trattare gli esiti di un più o meno buon adattamento [dei figli delle coppie omosessuali] separandoli dalla struttura della relazione» è addirittura un «inganno». Un esempio? «Quando si evidenzia qualche dato problematico sul benessere dei figli (che nei campioni esaminati comprendono abitualmente bambini frutto di precedenti relazioni eterosessuali) viene invocata come possibile spiegazione il fattore instabilità familiare». Ma è appunto un inganno, perché «l’instabilità è strettamente inerente il cambiamento di orientamento sessuale del genitore».
Nonostante le carenze delle ricerche esaminate, comunque, Canzi è riuscita a rintracciarvi diverse indicazioni utili per provare a comprendere almeno in parte quello che Scabini e Cigoli definiscono il «complesso mondo interiore di questi ragazzi». In particolare, riguardo allo sviluppo del loro orientamento sessuale, spesso tutt’altro che semplificato dal paradossale desiderio dei genitori di vederli crescere “etero”. «Alcuni adulti intervistati – scrive l’autrice riportando i risultati di una indagine – avevano nascosto il proprio orientamento sessuale per paura delle reazioni dei familiari, amici e conoscenti, ma in primis dei loro genitori omosessuali, temendo di deluderli». Drammatiche poi le pagine in cui Canzi descrive le «relazioni con i pari», quasi sempre segnate, soprattutto nell’adolescenza, dall’incomprensione e dalla stigmatizzazione da parte dei compagni, da faticosi tentativi di riscatto e da struggenti lotte interiori tra la volontà di proteggere i genitori e il rimorso per averne provato vergogna.
Severa, invece, la valutazione di Scabini e Cigoli in merito alla povertà della maggior parte degli studi sul rapporto tra i figli cresciuti da coppie gay e il loro «genitore mancante», tema particolarmente «critico» secondo i due professori, con ripercussioni immaginabili anche sul legame con i «genitori sociali». «A questo proposito – osservano – disponiamo più di ricerche con questionari e che quindi ci danno percentuali di risposte a domande secche formulate dal ricercatore e poche interviste che possano far emergere la costellazione di significati soggiacenti le varie risposte. E questo la dice lunga sulla chiusura dei ricercatori nei confronti degli aspetti simbolici».

Domande «ineludibili»
Ma perché tanta avventatezza in un ambito scientifico così delicato? Scabini e Cigoli propongono una spiegazione che non è solo tecnica: «Nella cultura del mondo occidentale fondata sull’individuo (la sua felicità) e su ciò che la tecnologia offre, è la scelta e con essa il desiderio, sia esso del singolo o della coppia, a fare la differenza. A lì tutto si rimanda come se scelta e desiderio fossero in se stesse garanzia di salute piuttosto che apertura drammatica sulla vita, vale a dire esposta tanto alla generatività che alla degeneratività. Sfuoca, inoltre, e la cosa non è di poco conto, la concezione del figlio in quanto generato, in relazione stretta coi suoi generanti, a favore dell’attenzione, specie psicologica, all’individuo, sia esso bambino, adolescente, adulto, anziano».
Insomma, è solo avendo deciso a priori che certi problemi non sono problemi che si può sostenere la tesi della non differenza tra genitori omosessuali e genitori eterosessuali. Perché di per sé «la ricerca non dimostra, piuttosto produce conoscenza e prove all’interno di una cornice di pensiero (…), retta da valori/guida che influenzano e selezionano inevitabilmente le scelte operative».
«Ineludibili» le domande con cui si conclude il contributo di Scabini e Cigoli: «Possiamo evitare di parlare di origine e di essere originato da una relazione? Possiamo, nel legame di filiazione, operare una scissione tra l’aspetto genetico e quello simbolico cercando di dimostrare che i legami di filiazione stanno in piedi “indipendentemente” dal legame genetico perché quello che conta è la qualità della relazione (percepita) e non la famiglia come struttura? Possiamo evitare di prendere in considerazione responsabilmente i rischi anche psichici che si corrono quando si sceglie di dar vita ad un nuovo essere umano silenziando aspetti cruciali della sua storia genealogica?». No che non possiamo. Ma i tribunali professionali lo permetteranno? 

Foto gay pride da Shutterstock
 
maggio 26, 2017 Pietro Piccinini