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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

11/04/17

Scordatevi Obama


Con l'attacco alla base di Assad, Trump ha chiarito la differenza con la politica estera del predecessore. La sua America vuole contare sulla propria capacità militare e sulla deterrenza contro chi supera le "linee rosse" (vedi Corea del Nord). L'altro lo diceva a parole, lui lo mostra nei fatti...

donald

L’attacco americano contro la “base delle armi chimiche” di Assad, condivisa dal regime con militari russi che difficilmente potevano ignorare l’utilizzo, ha subito prodotto mal di pancia e distinguo nel nostro paese. Si dovrebbe anzitutto capire che la posizione di Trump è opposta a quella di Obama anche e soprattutto in politica estera. La sua linea potrà essersi ulteriormente precisata in queste ore, ma sia in campagna elettorale sia dal suo insediamento le radicali differenze tra Trump e Obama si possono riassumere nei seguenti punti:
1) l’America di Trump, diversamente da Obama, pone la sicurezza sopra ogni altra cosa, sul piano interno come su quello internazionale: lottando contro il terrorismo e gli Stati che sostengono il terrorismo, e promuovono guerre e focolai regionali che pregiudicano la sicurezza americana e l’esistenza di Israele
2) l’intesa con Mosca nella lotta al terrorismo vale se l’Isis non resta un facile pretesto per lasciare Assad al potere macellando milioni di persone che non lo vogliono, e per consentire che l’Iran colonizzi politicamente la Siria -dove Hezbollah inquadrata da ufficiali IRGC rappresenta una forza autonoma che tra l’altro minaccia Israele dal Golan siriano- e consolidi un controllo assoluto sull’Iraq
3) sulla Russia, tema di forte contrasto fra Trump e Obama -vedi le sanzioni- c’è stata indubbiamente un ‘evoluzione, per ragioni eminentemente politiche e di “legittimazione”interna. L’Amministrazione repubblicana si trova oggettivamente in difficoltà nello sgomberare il terreno da indagini dell’Fbi e del Senato riguardanti alcuni dei principali collaboratori del Presidente e i loro rapporti ancora non chiariti con funzionari e agenti russi, nonché con banchieri russi sotto sanzioni americane. Non era questo lo sfondo che in campagna elettorale portava Trump a esprimere forte vicinanza a Putin. Sembra ora più urgente dimostrare che, rispetto alla stessa Russia, prevalgono sempre gli interessi dell’America. E forse questo dovrebbe valere anche per noi
4) mentre per Obama la forza veniva sempre dopo, molto dopo, estenuanti e lunghissimi tentativi di risolvere le crisi con l’esclusivo ricorso alla diplomazia, Trump ha sempre dichiarato di voler contare su un’America forte, sulla sua capacità militare, sul valore fondamentale che rivestono- per una credibile diplomazia e una efficace politica di sicurezza- deterrenza e volontà politica di ricorrere alla forza quando necessario. La disastrosa rinuncia di Obama a sanzionare gli attacchi con armi chimiche che avevano provocato nell’estate 2013 ben 1500 morti sono sempre stati al centro delle critiche di Trump a Obama. Da quella incredibile fuga americana dalle responsabilità è nato il convincimento dell’Iran di aver campo libero in Siria, Iraq, Yemen,la decisione della Russia di invadere il Donbass con i suoi “volontari”e di annettere la Crimea, e della stessa Cina di militarizzare i nove isolotti semisommersi annettendo l’immenso spazio e le risorse del mar della Cina. Non c’è analista serio e conoscitore diretto delle conseguenze provocate dalla politica rinunciataria di Obama in Siria che dissenta circa le conseguenze geopolitiche disastrose di quell’impune superamento delle “linee rosse”sulle armi di distruzione di massa da parte di Assad nel 2013.
Poteva Trump far finta di niente? Poteva “obamizzarsi”come d’incanto, proprio sulla questione più devastante e cruciale per l’America non solo in Medio Oriente, ma nello stesso rapporto con la Russia, l’Iran, la Turchia, Israele,e per giunta nelle stesse ore in cui era in corso il cruciale vertice con Xi Jin Ping? Un vertice dove proprio la prospettiva che l’America possa anche‎ “agire da sola” per riportare la ragione a Piongyang deve essere “creduta”, e non irrisa, da un interlocutore abile, sperimentato e deciso come il Presidente cinese.
Non c’è nulla che sorprenda nella decisione di Trump di usare la forza per sanzionare l’ennesimo, atroce crimine di Assad contro l’umanità. Non valgono nulla le tesi che la Siria senza Assad sarebbe senza soluzione politica. Un pensiero atroce per il mezzo milione di morti, i miloni di feriti, di sfollati, di profughi causati da un regime che, secondo gli iraniani e da un paio d’anni anche secondo i russi, deve sopravvivere per continuare a fare da spalla all’espansione militare iraniana nell’arco di crisi che va dal Libano allo Yemen. La Germania di Hitler, l’Urss di Stalin, la Cambogia Kieu Sampan, l’Uganda di Idi Amin Dada dovevano tenersi per sempre quei regimi criminali in nome della “stabilita'”, di ideologie assurde, o fondamentalismi religiosi? Sono molti i siriani e gli iraniani che animano partiti, movimenti, gruppi che rappresentano un’alternativa anche immediata a regimi così sanguinari. Il senso di abbandono che l’Occidente ha mostrato nei loro confronti dal 2009, lasciando in totale abbandono l'”onda verde” contro l’elezione scippata da Amadhinejead, e la Coalizione dell’opposizione siriana nel 2011, hanno ingigantito una crisi che si è poi inevitabilmente riversata sull’Europa, come non solo dicevamo, ma gridavamo da anni.
La storia offre raramente una seconda chance. Trump l’ha colta. Dobbiamo sostenerlo con ogni possibile convinzione.

di - 11 aprile 2017

L’America allerta 150mila riservisti. Guerra in vista?


Obama orders more US troops to Baghdad


Sta per iniziare una vera guerra? I segnali che giungono in queste ore sono molto allarmanti. L’esercito americano sta inviando in queste ore a 150 mila riservisti delle lettere con un preavviso di mobilitazione. L’annuncio ufficiale del ministero della Difesa dovrebbe essere dato a breve, ma alcuni riservisti che hanno già ricevuto la missiva lo stanno raccontando ad amici e parenti, i quali iniziano a far circolare le notizia. Secondo queste indiscrezioni, provenienti dagli Stati Uniti, l’obiettivo del Pentagono sarebbe di poter disporre di questa forza entro un paio di settimane dall’annuncio della mobilitazione vera e propria. Il messaggio che viene lanciato in queste ore è chiaro: decisioni potrebbero essere imminenti, tenetevi pronti a partire.
Centocinquantamila riservisti: per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? O l’obiettivo è la  Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin.
E non è  un caso che Assad, il governo iraniano e il Cremlino in queste ore abbiano dichiarato che “l’attacco americano alla base siriana ha superato molte linee rosse * che da adesso in avanti “risponderemo con la forza a qualunque aggressione”.
Questo significa che Putin ha perso ogni speranza di raggiungere un accordo con Washington. E che si prepara agli scenari peggiori.
Attenzione, e mi angoscia molto scriverlo, ma da diversi decenni la pace nel mondo non è mai  stata così a rischio
 
 
di Marcello Foa - 9 aprile 2017

Clima di guerra tra Corea del Nord e Stati Uniti. Le navi Usa si avvicinano a Pyongyang, che minaccia “conseguenze catastrofiche”


Corea del Nord



Il clima tra Corea del Nord e Stati Uniti si fa sempre più teso. La Corea del Nord, infatti, ha condannato la decisione di Washington di inviare una portaerei e la sua flotta nelle acque della penisola coreana, definita “una mossa sconsiderata” e ha minacciato di essere pronta alla “guerra”.
Secondo Pyongyang l’invio della portaerei Usa è la dimostrazione che la strategia americana per “invadere” la Corea del Nord “ha raggiunto una fase pericolosa”, ha spiegato un portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano secondo l’agenzia statale KCNA. Pyongyang, ha aggiunto, “è pronta a reagire in qualsiasi modalità di conflitto scelta dagli Usa”. Insomma, la tensione è altissima, già tale dopo le dichiarazioni della Corea del Nord secondo le quali l’attacco missilistico ordinato da Donald Trump contro la Siria è un atto che giustificherebbe l’uso della bomba atomica. C’è da dire, peraltro, che già un mese fa il segretario di Stato americano Tillerson aveva mandato un avvertimento chiaro a Kim Yong-un: “Voglio essere molto chiaro: la politica della pazienza strategica è finita, se Pyongyang continua ad elevare la minaccia militare, l’opzione dell’azione è sul tavolo”.
La Carl Vinson, portaerei della classe Nimitz a propulsione nucleare, ha intanto lasciato Singapore: avrebbe dovuto dirigersi verso l’Australia, ma i nuovi ordini l’hanno dirottata verso la penisola coreana. “La prevalente grave situazione prova ancora una volta che la Corea del Nord era totalmente nel giusto quando ha aumentato le sue capacità militari di auto-difesa e di attacco preventivo contro la potenza nucleare da pivot – ha commentato il portavoce nel dispaccio della Kcna -. Prenderemo le più dure reazioni contro i provocatori per difenderci da potenti forze armate e mantenere il percorso da noi stessi scelto”.

dalla Redazione
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it


09/04/17

SIRIA - "Idlib: tutto quello che non torna"


PERCHÉ?
A distanza di giorni dalla tragedia di Idlib è impossibile trovare un solo analista, un solo giornalista, un solo politico tra quelli che provano a capire veramente cosa è accaduto in Siria, in grado di rispondere alla più importante delle domande: “Perché?”

idlibPerché Assad avrebbe deciso di effettuare un bombardamento chimico nella fase finale di una guerra ormai vinta e nel giorno in cui a Bruxelles si apriva la Conferenza Internazionale sul futuro della Siria (e su quello suo)?
E perché l’avrebbe fatto pochi giorni dopo aver incassato dall’Amministrazione Trump (per bocca di Nikki Haley, ambasciatrice all’Onu), la conferma che rimuoverlo “non è più una priorità degli Stati Uniti”?
Perché il regime siriano, in maniera così goffa e intempestiva, avrebbe optato per un attacco con armi chimiche violando l’accordo siglato nel 2013 a Ginevra sotto l’egida di Usa e Russia, che portò all’effettivo smantellamento del suo arsenale (come è stato riconosciuto dall’Onu), accordo mai violato in questi anni neppure nei momenti di maggiore indecisione sull’esito della guerra?
Perché farlo, ben sapendo che questo avrebbe scatenato la comunità internazionale, messo in drammatica difficoltà l’alleato russo, riacutizzato le divisioni nel mondo arabo, provocato una legittima reazione tra gli stessi siriani che oggi, a stragrande maggioranza, vedono Assad come il salvatore della Siria contro l’occupazione terrorista dei mercenari islamisti?
L’unica risposta che per ora rimbalza sui media mainstream è quella più stupida e più funzionale alla ridicola narrazione occidentale dei “buoni contro i cattivi”: perché Assad è un dittatore! Quindi si sa che i dittatori gasano e uccidono il proprio popolo: lo fanno per gusto o per rappresaglia. O peggio, come motiva il New York Times, “per depravazione”. Giusto non può esserci altra spiegazione quando non si trovano le motivazioni.

HalabjaI DUBBI
Andrea Purgatori, uno che i bombardamenti chimici li ha visti sul serio nel 1988 ad Halabja quando Saddam Hussein scaricò cianuro e gas nervini sulla popolazione curda causando quasi 5.000 morti e il doppio dei feriti, intervistato su Intelligo ha espresso forti perplessità su ciò che può essere accaduto: “Quello che ho visto sul campo dell’uso dei gas è che uccidono indiscriminatamente e soprattutto difficilmente fanno “solo” 70 morti. Non dico che non siano stati usati ma secondo me è successo qualcosa che ancora non sappiamo bene. (…) il problema è che se io carico i gas su un aereo e poi bombardo mi sembra difficile che ci sia questo numero di morti”.
I bombardamenti chimici servono a spazzare via una popolazione e non un obiettivo militare. Per questo, usare armi chimiche per distruggere una fabbrica d’armi non è criminale è semplicemente stupido.
Su La Stampa, Giuseppe Cucchi esprime con onesta obiettività gli stessi dubbi di Purgatori. Ma va anche oltre. Richiama alla memoria il bombardamento di Merkale a Serajevo, che scatenò l’intervento Nato contro la Serbia; massacro per il quale, nonostante le sentenze definitive del Tribunale internazionale, rimangono “fondati dubbi (…) che i colpi di mortaio” che causarono oltre 40 morti civili, possano essere partiti “da zone in mano ai bosniaci e non ai serbi”.
E se l’orrore di Idlib servisse proprio a questo? A generare un casus belli per imporre magari un intervento diretto occidentale? A rimettere in discussione la permanenza di Assad anche in una Siria futura? È proprio quello che vuole Assad? O è quello a cui aspirerebbero i suoi nemici: i ribelli moderati di Al Qaeda e il paese principale che li supporta e li finanzia: l’Arabia Saudita; o quello che ambisce ad impossessarsi di pezzi della Siria e cioè la Turchia.
Ecco che allora la versione siriana e quella russa, secondo cui le sostanze chimiche non sono scese dal cielo ma si sono sprigionate dall’interno della fabbrica dei ribelli bombardata, potrebbe non essere solo una verità artefatta per nascondere l’evidenza di ciò che è accaduto. D’altro canto che armi chimiche siano in possesso e siano state utilizzate dai ribelli anti-Assad è cosa risaputa ed anche provata.
Ma ancora è tutto troppo vago.
NON È UNA GUERRA SIRIANA
Nel frattempo si consuma il previsto effetto dirompente sui media che serve a sconvolgere le coscienze e combattere questa guerra con le armi dell’emozione e dell’indignazione, spesso più potenti di quelle vere.
Perché nella guerra moderna le armi chimiche non hanno alcuna utilità militare; ma hanno una grande utilità mediatica.
E così, ecco puntuali i soliti Elmetti Bianchi, impavidi soccorritori cari ad Hollywood, falsificatori di professione legati ai gruppi di Al Qaeda, diffondere immagini e video che sembrano chiaramente manipolati e che si sommano alle immagini e i video reali e orribili dei bimbi morti o quelli agonizzanti, in un sadico e strumentale gioco di orrore che unisce il vero al falso.
Ed ecco l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, emanazione dei Servizi segreti britannici, essere utilizzato come fonte d’informazione prioritaria sui media occidentali per spiegare quello che è successo a Idlib.
Come è possibile che il regime siriano non immaginasse questi effetti di un attacco del genere?
Assad sa troppo bene che la guerra in Siria non è più una guerra siriana ma una guerra mondiale. È che quello che lì avviene ha una ricaduta internazionale mille volte superiore rispetto a ciò che accade in altre guerre. Questo è il motivo per cui l’enfasi con cui i media occidentali mostrano le terribili immagini dei bimbi siriani è direttamente proporzionale al modo in cui gli stessi media relegano a semplice cronaca le notizie dei bimbi yemeniti (o somali) ammazzati dalle bombe americane e inglesi lanciate dai sauditi.
Può Assad non aver previsto tutto questo?

nikki-haley-chemical-attack-syria-united-nationsOLTRE LA LINEA ROSSA
L’unica cosa certa è che la strage di Idlib rischia di spostare indietro l’orologio della guerra siriana, riportandolo al 2013.
Il primo effetto politico è il cambiamento di posizione degli Stati Uniti annunciato da Donald Trump che ieri ha dichiarato “l’attacco sui bambini ha avuto un grande impatto su di me (…) siamo andati ben oltre la linea rossa”, chiaro riferimento all’ultimatum che nel 2013 Obama aveva posto ad Assad per evitare l’ingresso in guerra dell’America contro di lui. Facendo eco a lui la stessa ambasciatrice Haley: “Quando l’Onu fallisce nel suo dovere di agire collettivamente, ci sono momenti in cui gli Stati sono costretti ad agire per conto proprio”.

Ecco a cosa ha portato la strage di Idlib; ecco forse a cosa serviva.

Giampaolo Rossi - 6 aprile 2017