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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

18/02/17

Centrodestra: ora o mai più


 


Qualcuno capisce su cosa stiano litigando quelli del Partito Democratico? Fase programmatica, fase congressuale, discontinuità, primarie, legge elettorale, elezioni, più a sinistra, più al centro, minoranza che non si sente a casa. Nella migliore delle ipotesi si parlano addosso manco fossimo in un dibattito da cineforum del ’68 e nella peggiore delle ipotesi discutono di cose che non interessano alla gente. Stringi stringi, assomiglia a una lotta tra correnti per la conquista delle cadreghe. Che poi alla fine non ci sarebbe nulla di male se non ammantassero le loro discussioni con l’ipocrisia della battaglia interna fatta per assicurare alla Nazione un Pd in grado di combattere le disuguaglianze e assicurare una guida seria all’Italia.
In questa faida interna non ci sono vittime e carnefici: da una parte c’è Matteo Renzi che ha trattato il partito come un fardello vissuto con fastidio e dall’altra ci sono quelli della minoranza che non ci stanno ad essere fuori dai giochi e, fottendosene del partito oltre che degli interessi del Paese, mirano a distruggere giocando al tanto peggio tanto meglio.
Ma se Atene piange, Sparta non ride: dov’è finito il sogno a Cinque Stelle? Se volessimo in breve fare la fenomenologia di questo Movimento, dovremmo partire dalla rabbia e dalla vendetta. C’è una gran fetta di popolazione, soprattutto ma non solo giovane, che si è sentita esclusa da una classe dirigente avida e disinteressata ai problemi del cittadino, cominciando a covare insofferenza e odio verso la “Kasta”. Beppe Grillo (o forse sarebbe meglio dire Davide Casaleggio) ha cavalcato questa insofferenza trasformandola in vendetta e voglia di rivalsa. Il fenomeno pentastellato è nato da questo così come dall’equivoco di fondo che l’uomo comune, il cittadino per l’appunto, possa fare politica al pari o forse meglio del governante navigato, nutrendo verso quest’ultimo un sentimento di arroganza misto ad aggressività, ostentata quasi per vincere una sorta di complesso di inferiorità. La demagogia del riscatto ha prodotto le pippe al potere; quelli che, al netto delle mail che Di Maio non ha capito sul caso Quarto, di Marra, di Romeo, delle polizze o della Muraro, nei fatti non hanno prodotto nulla. Più degli scandali (che probabilmente non ci restituiranno atti penalmente rilevanti), sarà il nulla a far tracollare l’equivoco grillino, sarà l’imbarazzo malcelato di chi sta ancora cercando di capire come funziona e nel frattempo assume quello sguardo ebete ma fintamente intenso che hanno tutti questi ragazzi che giocano a fare i duri ma nei fatti sono frastornati da una responsabilità che non sono in grado di gestire. Se infatti dovesse essere appurata la totale estraneità alle vicende processuali, sarà altrettanto evidente che, incappare in frequentazioni pericolose o in indagini rocambolesche, è molto più facile di quanto costoro non cianciassero quando erano all’opposizione. Troppo facile fare i duri e puri con le mani libere ma altrettanto difficile è giustificarsi quando gli schizzi ti lambiscono dopo aver predicato la religione dell’onestà e spergiurato che mai e poi mai avresti tollerato indagini giudiziarie a carico dei tuoi amministratori che devono essere e apparire diversi. Troppo facile promettere di risolvere i problemi che la politica non è stata capace di approcciare e poi barcamenarti perché nemmeno sai come si fa una delibera piuttosto che prendere tempo cambiando mille volte idea e, nel dubbio, non fare gli appalti perché altrimenti ci si infilano dentro i malavitosi. L’inesperienza al potere blocca tutto e ti costringe a colmare il gap tecnico/politico circondandoti dei vari Marra e Romeo che almeno sanno come girano le cose e ti aiutano a vincere la disperazione di non sapere nemmeno dove puntare il navigatore per andare al Campidoglio. Comprensibile, ma non fa il paio con i proclami grillini.
Una sinistra dilaniata, unitamente al sogno movimentista ormai in frantumi, costituiscono una formidabile opportunità per il centrodestra che ha di fronte una prateria sterminata da conquistare, un bacino che, per dirla con Tatarella, coinvolge un 60 per cento di cittadini che non si identifica nel progressismo. Sarebbe un’occasione forse irripetibile. Già, se solo la si smettesse di andare in ordine sparso coltivando pavidamente il proprio piccolo orticello.

di Vito Massimano - 18 febbraio 2017

17/02/17

La gang dell’euro, associazione a delinquere per derubarci


La cronaca “europea” della scorsa settimana è stata segnata dalle dichiarazioni, poi parzialmente rimangiate, del cancelliere tedesco Angela Merkel su una “Europa a due velocità” da formalizzare già al prossimo vertice di Roma. I media hanno sbrigativamente tradotto le posizioni della Merkel con l’ossimoro di una “doppia moneta unica”, una per i paesi del nord ed un’altra per i paesi del sud. Non sono mancati i consueti commenti circa l’influenza della campagna elettorale in Germania su questa presa di distanze della Merkel dalla consueta dogmatica dell’Unione Europea. In realtà i tedeschi sono scontenti dell’Ue perché gli è stato fatto credere che il crollo dei loro redditi sia causato dalla necessità di sacrificarsi per soccorrere i cosiddetti Piigs. Dato che così non è, alla Merkel basterebbe consentire un aumento dei salari in Germania per fare tutti contenti, all’interno come all’esterno. Un aumento della domanda in Germania stimolerebbe l’economia dei paesi Ue più in difficoltà e il contestuale aumento del costo del lavoro nella stessa Germania renderebbe le merci tedesche un po’ meno competitive, diminuendo così il destabilizzante surplus commerciale tedesco.
Mario DraghiMa ciò non accadrà, poiché l’Ue non era affatto nata per favorire l’integrazione economica dell’Europa. Gli interessi erano soltanto finanziari e militari. La deflazione causata dall’euro rende più forti i creditori nei confronti dei debitori, e quindi va a favore delle multinazionali finanziarie. Gli Usa sono stati determinanti nella nascita dell’euro e nella sua conservazione, poiché l’euro consente di compattare in funzione anti-russa paesi che, come l’Italia, rischiavano di farsi risucchiare economicamente nell’orbita della Russia. Sino a qualche anno fa gli Usa erano disposti a pagare il prezzo salato che l’euro comportava in termini di depressione dell’economia mondiale. Pare che non siano più disposti oggi, dato che le merci tedesche hanno invaso il mercato statunitense a causa della sottovalutazione dell’euro rispetto all’effettivo potenziale dell’economia della Germania. D’altro canto il presunto “disimpegno” americano in Europa potrebbe davvero cambiare qualcosa? E’ vero che gli Usa non sono riusciti a mettere Putin all’angolo, che i costi dei loro impegni militari sono mostruosi, ma sembra esserci la necessità di una riorganizzazione della gerarchia internazionale senza la quale il “protezionismo coloniale” avrebbe qualche difficoltà.
Angela MerkelSenza una ostentazione di forza militare da parte degli Usa, altri paesi potrebbero rispondere a loro volta col protezionismo. Certo è che l’Ue e l’euro sarebbero travolti non tanto dai dazi ma da una svalutazione del dollaro che, per ora, non è arrivata. Non sarebbe comunque la prima volta che gli Usa distruggono ciò che essi stessi hanno creato perché non gli fa più comodo. Nel 1919 il presidente Usa, Woodrow Wilson, impose la nascita della Jugoslavia per impedire all’Italia il controllo del Mare Adriatico. Per sostenere la sua posizione Wilson non esitò ad accusare l’Italia di imperialismo (per la serie del bue che dice cornuto all’asino). La stessa Jugoslavia negli anni ‘90 è stata poi distrutta dagli Usa in concerto con la Germania e, grazie ad una notevole manipolazione mediatica, anche le “sinistre radicali” furono indotte a plaudire al “risveglio etnico” che dissolveva stati che erano apparsi prima inamovibili.
BarrosoPur collocata dagli Usa sul maggiore scranno della Ue, la Germania non ha mai mostrato di credere realmente in questa costruzione. Nel 2003 tramontava l’illusione del governo francese di poter usare l’euro per acquistare direttamente materie prime sui mercati internazionali, poiché l’invasione Usa dell’Iraq servì appunto a punire Saddam Hussein per il fatto che vendeva petrolio in cambio di euro invece che di dollari. Nello stesso 2003 il governo tedesco lanciò il piano Hartz per ridurre i salari in Germania. Il governo tedesco non si accontentava quindi del vantaggio che l’euro consentiva alle merci tedesche, ma apiva addirittura una corsa a comprimere il costo del lavoro in modo da accumulare il maggior surplus commerciale possibile. Ciò indica che i governi tedeschi non hanno mai creduto alla sopravvivenza dell’Ue e dell’euro; e che l’Ue e l’euro, nati come armi da guerra contro la Russia, venivano usati dalla Germania anche per deindustrializzare il suo principale concorrente commerciale, cioè l’Italia, non a caso bersaglio preferito della Commissione Europea.
La Germania non deve neanche affannarsi più di tanto per raggiungere il suo scopo, poiché ci pensa la lobby dello spread. La moneta “unica” è infatti un inganno. La moneta è composta di banconote e di debito pubblico, cioè di titoli del Tesoro: nel caso dell’euro le banconote sono controllate dalla Banca Centrale Europea, mentre i titoli del Tesoro sono ancora emessi dagli Stati, che però pagano interessi diversi. In questa tenaglia è stata stritolata la Grecia e si può stritolare l’Italia. Risulta quindi fuori luogo la sorpresa suscitata dalla minaccia della Commissione Europea di mettere l’Italia in procedura d’infrazione per il famoso “zero virgola due”. La Brexit e “CialTrump” non hanno per niente indotto Juncker e colleghi a maggiore prudenza e buonsenso poiché la Commissione Europea, e l’apparato che la supporta, non si pongono affatto problemi di sopravvivenza dell’Ue, ma ragionano esclusivamente in base agli interessi della lobby dello spread, cioè la lobby di finanzieri internazionali che esige alti interessi sul debito pubblico da paesi che sono ancora in grado di pagarli, come l’Italia.
L’Unione Europea è un allevamento di lobbisti e costituisce il paradiso delle porte girevoli tra cariche pubbliche e carriere nel privato, e il tutto è rigorosamente documentato da tempo, con dovizia di dettagli. La porta girevole che ha portato l’ex presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, alla dirigenza di Goldman Sachs dovrebbe costituire una preoccupazione urgente per tutti gli “europeisti”, i quali insistono invece a distrarci con voli pindarici. Ma gli europeisti non esistono, i lobbisti invece esistono, eccome. La delegittimazione delle istituzioni europee è tale che oggi la vera domanda che tutti si pongono è in quali multinazionali finanziarie concluderanno felicemente la loro
 Pierre Moscovicicarriera gli autori della lettera dello “zero virgola due”, Juncker e Moscovici. A proposito di lobbisti mascherati, ci si è chiesti da più parti come si collochi l’ultima sortita del Super-Buffone di Francoforte in questo contesto di sfaldamento dell’Ue. Mario Draghi farnetica di trecentoquaranta miliardi di euro di tangente da versare per permettere all’Italia di uscire dall’euro, quando ormai sarebbe evidente che è l’euro che sta uscendo dall’Europa.
La farneticazione del presidente della Bce contiene comunque un messaggio recondito, e cioè che la vita dell’euro dovrà perpetuarsi oltre la sua morte, con una scia di ulteriori sacrifici da imporre a lavoratori e risparmiatori. La risposta immediata a Draghi dovrebbe essere quella di sottrarre il debito pubblico ai cosiddetti “mercati” (cioè la lobby dello spread) per usare i titoli del Tesoro solo all’interno, per effettuare i pagamenti della pubblica amministrazione e per mettere al sicuro il risparmio delle famiglie. Si tratta di una vecchia proposta, ripresa qualche giorno fa – non si sa quanto seriamente – anche dalla Lega. A rendere improbabile una tale misura di autonomia finanziaria non sono soltanto gli enormi rischi personali di chi dovrebbe adottarla, ma anche il fatto che lo spread e l’austerità si avvalgono di una lobby interna, tutta italiana, che lucra sugli alti interessi del debito pubblico, sul credito al consumo (e sul relativo recupero crediti), sul caporalato istituzionalizzato, sulle privatizzazioni e sull’intermediazione per la svendita all’estero dei patrimoni immobiliari.

(“Dopo i sacrifici per entrare nell’euro e i sacrifici per restare nell’euro, i sacrifici per uscire dall’euro”, dal blog “Anarchismo.Comidad” del 9 febbraio 2017).

fonte: http://www.libreidee.org

16/02/17

L’attacco del subdolo virus del gender alla famiglia


La ricostruzione storica e giuridica dell’aggressione in corso alla cellula fondante della società





La famiglia è sotto attacco? Chi e come sta tentando di sgretolarla?
Il corposo e dettagliato libro “La famiglia in Italia dal divorzio al gender” (Sugarco edizioni) scritto a quattro mani dal giurista Giancarlo Cerrelli e dallo storico Marco Invernizzi, traccia in maniera approfondita e documentata la storia moderna dell’istituto familiare.
Il testo affronta l’attacco culturale, politico e giuridico alla famiglia a partire dal Sessantotto fino ai giorni nostri, con la teoria del gender e l’approvazione delle unioni civili. È diviso in due parti, nella prima Marco Invernizzi analizza il processo politico e culturale che ha con il tempo minato il ruolo centrale della famiglia, al punto da considerarla una delle molteplici espressioni affettive. Prima infatti si parlava di famiglia, mentre oggi si sta imponendo nella società il termine famiglie. Nella seconda parte Giancarlo Cerrelli esamina l’iter legislativo e giuridico che tenta di trasformare la famiglia in ciò che famiglia non è.
Nella prefazione del libro Massimo Gandolfini parla di famiglia come “santuario della vita”, immagine di un’altra famiglia quella di Nazareth, per questo così colpita e danneggiata, proprio perché luogo di amore assoluto e incondizionato, di conoscenza di sé e dell’altro.


«La famiglia è il luogo antropologico per eccellenza, è la « fabbrica » e il « laboratorio » della relazione, è lo « specchio » che fa conoscere se stessi in quanto si conosce l’altro, è la prima agorà della vita, spazio di incontro e scontro, di mutuo soccorso e di irriducibile contrasto, fucina di caratteri e personalità, atelier ove la creta dell’essenza umana prende forma con gli strumenti dello sguardo, delle parole, dei suoni, delle emozioni, delle interazioni – fisiche e psichiche – fra corpi e anime. (…) i decenni che stiamo vivendo, orfani – ringraziando Dio – di guerre combattute con armi, sono contrassegnati da una scelta culturale, politica e sociale che tanto efficacemente il Santo Padre Francesco ha definito « una guerra mondiale contro la famiglia ». È certamente un conflitto che mira a decostruire la cellula fondamentale della società, ma che ritengo faccia parte di una strategia più globale, di portata universale: la lotta al sentimento religioso dell’uomo, in generale, e al cristianesimo, in particolare. Laddove la famiglia è « chiesa domestica », luogo/specchio di ben altra « famiglia », quella di Nazareth, non è tollerabile la sua esistenza. Va combattuta, annichilita, destrutturata, banalizzata… famiglie e non più famiglia, progetti polimorfi di aggregazioni affettive e non più società naturale, fluide convivenze frutto di convenienze momentanee e non più progetti esistenziali stabili, luoghi di relazioni sessuali e non più « santuari della vita », accettata e trasmessa».
IL GENDER NASCE DAL RIFIUTO DI RICONOSCERSI CREATURE
Gli autori partono dall’assunto che oggi più che mai l’uomo tenta di svincolarsi dalla realtà, dalla natura, dal dato biologico, dall’essere una creatura non autodeterminata, giungendo alle derive più folli come per l’appunto quella:
«(…) dell’ideologia gender contro la realtà del progetto di Dio che ha creato l’uomo maschio e femmina. «Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine “gender”, si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione ». Queste parole di Papa Benedetto XVI, del 22 dicembre 2008, aiutano a collocare l’ideologia gender nella lunga storia della ribellione della creatura contro il Creatore (…) L’uomo trova la propria natura sessuata e non la sceglie, così come trova la realtà nascendo in un’epoca storica, in una famiglia e in una nazione, senza essere in grado di determinare queste scelte».


LA TEORIA DEL GENDER NEGA IL FONDAMENTO BIOLOGICO DELLA DIFFERENZA SESSUALE
«L’ideologia di genere è la negazione del corpo sessuato, della differenza biologica fondamentale tra maschio e femmina, come tentativo di dimostrare che la mascolinità e la femminilità non sono che costruzioni sociali, separando così natura da cultura. (…)Così, l’ideologia gender, per un preteso superamento delle diseguaglianze di genere, mortifica profondamente, invece, la bellezza della differenza sessuale, prediligendo, al suo posto, una sterile neutralità dei ruoli sociali e delle relazioni tra i sessi, che offende gravemente la ricchezza che l’umano porta in sé».
IL DIRITTO VIENE MANIPOLATO PER VEICOLARE LA TEORIA DEL GENDER
Per potersi affermare la teoria del gender deve appoggiarsi sul diritto e stravolgerlo trasformandolo da scienza che “leggeva la natura, ossia la grande realtà dove erano scritti i canoni del giusto, a strumento per manipolare la realtà”. Questa manipolazione non ha solamente una portata teorica e ideologica ma giunge a pervadere ogni aspetto della vita dell’individuo e della società.
«Sbaglierebbe chi pensasse che il gender sia soltanto una teoria astratta. Il gender è, anzi, declinato dai suoi promotori, in ogni ambito della convivenza sociale e il diritto ne è il mezzo per la sua attuazione. Per raggiungere il suo scopo, il gender arriva a forzare il diritto, mettendone alla prova la sua capacità estensiva, e così il diritto diviene il mezzo per propiziare un mutamento sociale in base ai desideri dei consociati136, anche se essi sono in contrasto con il dato di natura, di cui il diritto tende a non tenere più conto».
ALLA TEORIA DEL GENDER DEVE CONTRAPPORSI UNA NUOVA ALLEANZA TRA L’UOMO E LA DONNA
La bellezza della differenza tra l’uomo e la donna, che trova la sua sintesi nella coppia, rispecchia pienamente l’immagine di Dio come affermato dal Pontefice nell’udienza generale del 15 aprile 2015, alcuni passi della quale sono stati riportati nell’introduzione dagli autori:
«(…)non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio».
Il Santo Padre pur riconoscendo che «la cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza», ha affermato con forza che questa stessa cultura «ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo». Riferendosi specificatamente alla teoria del gender il Papa si domanda «se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».


La risposta autentica alla falsa soluzione di negare la differenza tra maschio e femmina deve pertanto essere individuata in una ritrovata e vigorosa alleanza fra l’uomo e la donna, tale da poter creare le premesse per una rinascita della svuotata società attuale:
«Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza».

15/02/17

Totò Renzi


 


“Ragionie’: ragionamme!”. Ricordate Totò? Matteo Renzi è un po’ così. Fa mille conti, ma si dimentica poi il “ragionamento”. Quello, tanto per capirci, così caro a Ciriaco De Mita, che insisteva con quel suo modo dolce di avellinese a confondere le “t” con le “d”. Ma Renzi non ha un briciolo di Magna Grecia in sé: tutta furbizia toscana e assalto alla baionetta alle cariche più importanti. Il sogno già sognato è quello della vetrina internazionale, delle pacche sulle spalle a Francois Hollande e del bacino complice ad Angela Merkel. Con quale risultato pratico, si è visto. Alla fine, l’immodesto aspirante all’eredità dei Medici si è trovato addirittura a minacciare il veto sul bilancio europeo, per ridare l’udito ai finti sordi di Commissione e Germania. È proprio vero che le aspirazioni del poeta naufragano in Patria! Perché, in fondo, l’ircocervo Partito Democratico non si è mai evoluto, rimanendo quello delle origini: mezzo Dc “de sinistra” e metà ex Pci storico con i suoi rottamati che si riconvertono alla bisogna in “rottamatori del rottamatore”, in perfetta continuità con lo stile infido e sulfureo del vecchio e mai troppo rimpianto Comitato centrale.
Tutti dicono che Matteo sia un po’ agitato da quando insegue nevroticamente sogni di rivincita. In realtà ciò accade perché, appunto, non sa far di conto. La prima delle addizioni sbagliate è quella di considerare come un suo bottino personale di consensi il 40 per cento (che, guarda caso, è l’aliquota maggioritaria residuata dalla legge elettorale emendata dalla Corte costituzionale) di coloro che hanno votato per il “Sì” il 4 dicembre scorso. L’altra somma incerta, non meno strategica della prima, gli direbbe che divisi e scissi si conquistino più consensi di quelli che otterrebbe un Pd litigioso su tutto, tenuto assieme con gli spilli da snervanti compromessi e trattative interne che, come si sa, da quelle parti durano lo spazio di un mattino. Matteo del resto fa i conti con il “dopo”: se la sinistra vuole governare non ci sono alternative (soprattutto in regime proporzionale) a una coalizione sinistra-centro. Quindi, avanti tutta con il vaporetto che brucia olio nel motore. Dato per perso il maggioritario (inutile in un sistema tripolare, una volta amputato del ballottaggio), non resta che un ritorno al Nazareno.
Prima, però, occorre di nuovo sellare il somaro recalcitrante del suo Pd. E lo si può fare solo chiedendo un ultimo, disperato sforzo ai militanti: Congresso per la scelta del nuovo segretario e primarie per quella del candidato leader alla guida del Governo. Separando per sempre, tuttavia, le due cariche. In base all’ultimo giro di giostra della recente direzione Pd, si farà il congresso prima del voto con i tempi che deciderà l’assemblea del Pd. Poiché Renzi ha dichiarato che con la sua segreteria si conclude un ciclo, la conseguenza ovvia e inevitabile sono le sue dimissioni da segretario. Poi, infine, un altro calcolo fallato: aver insediato un supposto Re Travicello (Paolo Gentiloni), rivelatosi ben più solido e sponsorizzato del suo da parte dei “poteri forti”. Impossibile chiedere al gentile conte di farsi discretamente da parte, se non mettendolo alle corde con una sfiducia parlamentare che sarebbe un suicidio per la credibilità di governo del Pd. Intanto, Beppe Grillo gioca con la frizione del “voto anticipato sì; anzi no”, creando scompiglio nelle sempre più inquiete file renziane e in quelle del tribuno Matteo Salvini.
Ma, in realtà, poiché da qui a un anno si andrà comunque al voto, il popolo italiano aspetta la sua classe politica screditata al rimbalzo del gatto morto della legge elettorale. O la politica ritroverà in merito un sussulto di dignità, o il Paese cadrà nella paralisi e nel caos. E non sarà di certo colpa dei cittadini!

di Maurizio Bonanni - 15 febbraio 2017


Lettera ai traditori dell’Occidente


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Signore, Signori, Signor*, come piace a voi,
oggi voglio scrivervi per chiedervi Perché. Il perché più importante di tutti, il primo, quello che giustifica le vostre azioni ed il vostro ancor più cocente Non-Fare.

Perché odiate la vostra terra, la vostra gente, la vostra storia? Perché vi odiate?
Una vita di rancore ed insuccessi, la rabbia ringhiosa del non-appartenente non bastano, da sole, a giustificare il vostro zelo nel distruggere tutto ciò che rimane di questa Europa, di questi Europei che ovunque, nel mondo, vogliono una sola cosa: rimanere se stessi.
E perché tanto amore, tanta adorazione per chi non è come voi, per chi vi odia, disprezza, deride? Perché vi assiepate nelle manifestazioni, intrigate nei parlamenti, strillate sui social network per affossare la vostra specie?
Non ne verrò mai a capo. Perché non siete tutti corrotti, tutti venduti, tutti in mala fede. Vedo tra voi persone di valore, che disperdono in propri talenti in atteggiamenti sofisticati, in auto-commiserazioni, in mea culpa che offrite – che regalate! – ad un mondo che non li comprende.
Poi ci sono i perduti, i capi delle vostre missioni, gli indignati per professione, i perbenisti, i benpensanti, magari con tante case al mare, con tante lezioni di danza per le figlie, con tante scarpe nell’armadio. Gli eroi dei “mi piace” facili, ma di loro non voglio parlare: sono condannati a morire nel branco, di vecchiaia, in un mondo che non sarà più loro.
Ma a tutti dico: placidamente, nei vostri letti, oppure nei ghetti che vi siete costruiti, fra molti anni – ma non così tanti, in fondo – saprete di non aver combattuto la buona battaglia. Saprete che la vostra buona fede, il vostro credo inclusivo, così pulito, così dolce, così conforme è stato soltanto un tassello del Quadro. Quel Quadro che ci oltrepassa, che scavalca le generazioni e ci segna come continuità nella Storia. Sarete le tinte fosche di questo dipinto, perché i colori dell’arcobaleno, se distesi, distesi, distesi su se stessi per decenni portano al grigio, all’oscurità che già ci avvolge.
Abbiamo bisogno di mani forti, di anime generose, di sorrisi in battaglia. I muri ideali e materiali che vogliamo costruire sono fatti per salvare anche voi, perché le barriere di oggi diventino il baluardo di una rinascita nostra, europea, vera. Le cime che non vogliamo abbandonare sono quelle della Tradizione, gli unici luoghi in cui i morti non sono dimenticati e ci incoraggiano a non cadere.
Non abbattete quei muri. Non giocate per il nemico. Loro ridono, vedendo il seme della distruzione avvinghiarsi alle nostre pietre millenarie. Smettetela di affilare i coltelli che vi uccideranno, di accogliere chi vi soppianterà. Ritornate a Casa.

 By On
di J. du Lys

fonte: https://www.riscossacristiana.it - 14 febbraio 2017
          http://ordinefuturo.net

13/02/17

La “patata bollente” ai Raggi X



 


Confessiamo che, dopo aver visto il titolo di “Libero” e letto l’editoriale di Vittorio Feltri, abbiamo una certa difficoltà a prendere penna e calamaio per vergare in maniera efficace un pezzo di carta riempiendolo di contenuti che aggiungano qualcosa. Succede spesso che il direttore di “Libero” tiri fuori dal cilindro una genialata di quelle talmente scorrette politicamente da far incazzare tutti, ma proprio tutti. Il personaggio è così: o lo ami o lo odi. Noi lo amiamo perché riesce a mettere in crisi le funzioni epatiche proprio di coloro i quali ritengono di avere il monopolio della libertà di pensiero e che s’indignano solo quando l’inchiostro irridente macchia (nel caso di specie) la loro patata. Quando si tratta delle patate altrui, quella è libertà di critica, è diritto di cronaca sancito solennemente dalla Costituzione italiana. Quando Enzo Biagi e Daniele Luttazzi vengono allontanati dalla Rai, allora è un editto bulgaro meritevole di ogni attenzione e tutela, mentre se Luigi Di Maio si presenta all’Ordine dei giornalisti con la lista dei giornalisti cattivi, qualcuno lo fa pure entrare.
Qui però, rimanendo in tema, l’affare si ingrossa perché da Laura Boldrini a Pietro Grasso, al presidente dell’Ordine dei giornalisti, fino alle massime cariche del Partito Democratico, tutti si sono sentiti in dovere di condannare il gesto sessista e volgare di Libero e dare solidarietà a Virginia Raggi. Sarebbe troppo facile a questo punto evocare quanto detto e scritto su Silvio Berlusconi in questi anni (nell’indifferenza più totale) o quella volta che Beppe Grillo chiamò “vecchia puttana” Rita Levi Montalcini. E infatti non lo faremo.
Ironia della sorte però, proprio nello stesso giorno in cui si è consumata la vicenda della patata bollente, un’altra donna – Giorgia Meloni – è stata volgarmente attaccata da Asia Argento (una stipendiata dal servizio pubblico), fatta oggetto di apprezzamenti meschini come donna, come mamma e come politico. Nessuno che si sia sentito in dovere di spendere una parola in difesa della Meloni (la quale si è difesa da sola e con molta classe), nessuno che si sia scandalizzato facendo le barricate come nel caso del sindaco di Roma.
Cosa significa tutto ciò? Significa che, alla fine, del sessismo o della sensibilità delle donne non frega niente a nessuno perché dipende molto da chi è la donna fatta oggetto delle invettive. Significa che lo scandalo montato sul titolo di Libero è ipocrita e mediaticamente costruito per motivi che per ora ci sfuggono ma che si paleseranno quanto prima. Fossi in Virginia Raggi mi ricorderei di ciò che Virgilio fece dire a Laocoonte: timeo Danaos et dona ferentes. Poi mi preoccuperei immediatamente di spiegarne il significato a Di Maio (temo i Greci, anche quando portano doni). Ad ogni modo, fa bene Vittorio Feltri a frugare tra le mutande di Virginia? Ha ragione quando paventa una commistione tra gli uffici del sindaco e le di lei vicende personali? Questo non lo sappiamo e sinceramente preferiamo continuare ad ignorarlo, convinti come siamo che sia inutile sbandierare le polizze perché tanto ci sarà sempre un integralista pentastellato pronto a negare anche la verginità della Madonna pur di corroborare la tesi precostituita del complotto contro i grillini. L’attacco personale, fondato o meno, serve a compattare la base che li reputerà così puri da essere sgraditi al sistema e invisi ai poteri forti (onde poi prenderli nel loro staff?).
Noi crediamo nel tempo perché spesso è galantuomo e crediamo negli atti amministrativi che proveranno molto presto l’inconsistenza del sinallagma a Cinque Stelle: dateci il voto affinché noi si supplisca alla politica corrotta con l’onestà e la competenza che contraddistinguono ogni appartenente alla società civile.
Roma è paralizzata come nemmeno ai tempi di Ignazio Marino e, patate o non patate, i fatti sono lì a dimostrarlo. Il tempo ci dirà se abbiamo torto e noi saremo lì a fare pubblica ammenda se del caso. Per ora risparmiateci il perbenismo a corrente alternata e smettetela di indignarvi per un titolo ben riuscito. Ma forse il problema è proprio questo.

di Vito Massimano - 11 febbraio 2017

12/02/17

L’inarrestabile forza dell’idiozia

Per essere politicamente corretti non si dovrà più, parlando di immigrazione, usare la parola “clandestino”. Suona male, potrebbe essere offensiva. L’intellighenzia spiega a noi, poveri mortali, che bisognerà dire “non regolare”.

Leggiamo sul Giornale la notizia che sul foglio d’ordini del politicamente corretto, Repubblica, è stata pubblicata una lettera in cui un gruppo di “intellettuali” (già questa definizione mi fa venire la diverticolite) si duole perché nel “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo del contrasto all’immigrazione illegale”, sottoscritto dall’Italia e dall’evanescente governo libico (che, sia detto per inciso, sarebbe bello capire quale autorità effettiva riesca a esercitare) compare più volte la parola “clandestino”.
Orrore, orrore, dicono gli “intellettuali”. Questa parola è brutta, contiene un “giudizio negativo aprioristico”. Meglio sarebbe, per non scuotere la delicatezza d’animo delle frotte che sono impegnate a invadere le nostre città e a distruggere quel poco di civiltà che qua e là è rimasta, usare termini più sfumati, come “irregolare” o magari “non regolare”.
Anzitutto, cosa vuol dire “clandestino”? Ricorriamo all’autorevole Vocabolario Treccani, che ci spiega: “clandestino agg. [dal lat. clandestinus (der. dell’avv. clam «di nascosto»), attrav. il fr. clandestin]. – 1. Che è fatto di nascosto, e si dice per lo più di cose fatte senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità: giornale, foglio c.; edizione c., tipografia c.; bisca c. …” e potete andare avanti nella lettura del vocabolario cliccando qui.
Ora, qualcuno potrebbe obiettarmi che perdo il mio tempo con questioni di poco conto: lasciamo che questi “intellettuali” si dilettino con queste disquisizioni; noi abbiamo cose più serie di cui occuparci.
Già, però la cosa è seria, perché, se è vero che le disquisizioni sulle parole più o meno offensive sono in genere una solenne idiozia, è anche vero che con questa solenne idiozia si è via via modificato il linguaggio, fino a rendere accettabili le cose inaccettabili, definendole con parole o con giri di parole che ne sfumassero sempre più la negatività.
“Clandestino”. Come ci spiega il Treccani, è un aggettivo che definisce ciò che è fatto di nascosto e, come tale, facilmente si può presumere che sia vietato. Infatti, se compio un atto che non è illecito, perché devo farlo “di nascosto”, ossia “clandestinamente”?
Gli italiani hanno le scatole piene di essere invasi quotidianamente da migliaia e migliaia di stranieri che per lo più sono accomunati dalla voglia di campare a spese nostre e che per lo più sono islamici? Incominciamo a edulcorare la faccenda. Ora definiamoli solo “irregolari”. Meglio ancora, “non regolari”, che è l’anticamera per arrivare ai “diversamente regolari”.
Di esempi di idiozia in marcia nel linguaggio, ne abbiamo tanti. Alcuni sono, tutto sommato, inoffensivi. Nessuno sa spiegare perché mai un “invalido” sia diventato un “diversamente abile”, o perché uno “spazzino” sia diventato un “operatore ecologico”.
Ma altre distorsioni del linguaggio sono invece servite per togliere la carica negativa alla parola corretta che definiva un fatto inaccettabile e farlo così diventare pian piano accettato.
Esempi? Facile.

“Aborto”. Parola brutta. Dall’approvazione della famigerata legge 194, si parla di interruzione volontaria di gravidanza, dove quel “volontaria” è anche tanto bello, perché evoca quella “libertà” in nome della quale si possono commettere un sacco di porcherie.

“Invertito, frocio”. Che parole brutte! Ed ecco che diventano “gay”, parola cinguettante, che tra l’altro sta per “allegro”, “gaio”. Cos’abbiano da essere allegri gli infelici che si trastullano con la sodomia, è un mistero. Però è un fatto che usando una parolina così gioiosa, la diffusione e la propaganda dell’omosessualità sono ormai entrate, come suol dirsi, nel nostro quotidiano.

“Puttana, prostituta”. Orrore! Vuoi mettere che bello usare la parola “escort”, con quel che di esotico che affascina?

 

E non sono che tre esempi di mutazione del linguaggio che hanno reso accettabili cose che da sempre erano considerate negative, riprovevoli.
Un altro esempio? La morte fa paura, e poi se si parla di morte magari c’è ancora qualche noioso iper-conservatore che viene ad ammonire sulla vita eterna, su ciò che bisogna fare per arrivare in Paradiso. Roba fastidiosa; allora basta abolire la “Morte”. E infatti ormai nell’uso corrente si parla di “fine vita”.
Ora ci viene prescritto di non usare più la parola brutta “clandestino”, e suoi derivati.
Probabilmente la prossima vittima del prossimo stupro ad opera di un immigrato, più o meno regolare, più o meno clandestino, dovrà star bene attenta a cosa dirà e soprattutto sottoscriverà nella denuncia. Che non le scappi di usare la parola “clandestino”, che contiene un “giudizio negativo aprioristico”. Potrebbe venir querelata dallo stupratore che, in base ai dettami della neolingua, si sentirebbe offeso nella sua dignità.

Basta con la parola “clandestino”. Meglio “irregolare”, per passare a “non regolare” e infine, non stupirebbe, a “diversamente regolare”.
Così tutto si sfuma, tutto diventa parte di una quotidianità allucinata ma passivamente accettata.

Colloquio (per ora) immaginario:

“Come mai dormi in automobile?”

“Sai com’è, il mio appartamento è stato occupato da una dozzina di immigrati diversamente regolari”.

“Ah, beh, allora…”

di Paolo Deotto - 10 febbraio 2017

fonte:  https://www.riscossacristiana.it

La fine dell’Euro è già segnata




 


Ma voi credete davvero che la Merkel, Juncker, Hollande e soprattutto Mario Draghi, siano convinti dell’irreversibilità dell’Euro e dell’utilità generale del suo impianto? Credete veramente che lo ritengano insostituibile e che mai abbiano pensato, o pensino, a uno scenario alternativo che riporti alle singole sovranità? Pensate spassionatamente che la moneta unica sia stata fatta nascere per il bene dell’Europa, di ogni membro e con spirito di solidarietà e condivisione? Da ultimo, siete persuasi fino in fondo che la crisi dello “spread” con Silvio Berlusconi sia nata da una spontanea sfiducia dei mercati nei confronti dei nostri fondamentali?
Bene, se pensate così e ciecamente, fate male e il suggerimento non può che essere quello di iniziare a riflettere meglio e considerare un futuro alternativo. Anzi, tanto più perentoriamente Draghi parla dell’Euro e della sua inamovibilità e tanto più dietro le quinte si muovono le scene e c’è puzza di bruciato. Qui non si tratta di Trump, Brexit o dell’ipotesi di chi fino a ora con l’Euro si è fatto ricco. Del resto, anche uno sprovveduto, all’approssimarsi del prosciugamento di un giacimento, inizierebbe a smontare la baracca per cercarne uno nuovo. E siccome la Germania fin dall’inizio era perfettamente convinta della temporaneità dell’Euro, è da un po’ che studia il modo per liberarsene. Tanto i tedeschi ne erano convinti, che pretesero e ottennero che la moneta unica nascesse con lo stampo del Marco e la Banca centrale europea quello della Bundesbank. Solo così, infatti, la Germania poteva garantirsi per un verso vita e guadagni facili, per l’altro la possibilità di uscirne a piacimento e nel momento di massima convenienza.
Insomma, per Kohl prima e la Merkel dopo, con la complicità di una Francia accarrozzata, l’Euro doveva essere un giacimento da sfruttare e utilizzare finché possibile. A distanza di quindici anni la miniera non solo si va esaurendo, ma rischia di crollare su se stessa per via dei troppi tunnel scavati dentro. Primo tra tutti quello dell’Italia, che non solo per dimensioni è mastodontico, ma che da quando ha iniziato a scricchiolare nessun Governo ha puntellato e messo in sicurezza. E se con la Grecia, la Germania e la Francia l’hanno fatta franca, cacciando Berlusconi e obbligando noi e gli altri a pagare gli sbagli loro o delle loro banche, oggi non è più così.
Oggi l’Italia non ha più un soldo, gli altri partner sono in crisi e indebitati, i popoli si lamentano e soprattutto il Quantitative easing dovrà cessare. Come se non bastasse, è sempre più pressante la richiesta alla Germania di utilizzare l’enorme surplus accumulato e di condividere il debito di tutti. Insomma, stiamo arrivando al collo dell’imbuto e solo i più forti ne usciranno per primi, perché gli altri si schiacceranno e basta. Inoltre e qui si che c’entra Donald Trump, la politica degli Stati Uniti d’America sarà diversa e, con la Brexit, gli scambi, il commercio, la produzione e gli accordi cambieranno verso e non di poco. La Merkel lo sa bene e vedendo l’esaurirsi della miniera, che l’ha fatta d’oro, brigherà per far saltare l’Euro e continuare da sola.
Del resto la Germania è l’unica che può farlo senza rischi e pericoli particolari; è ricca, forte e ben piazzata e in fondo l’Euro è come il Marco. Prepariamoci dunque e smettiamola di pensare che la moneta unica sarà indiscutibilmente per sempre, pensiamo a noi e a quel che ci conviene, sapere è potere. Non sarà una passeggiata e nemmeno polvere di stelle, anzi, ma senza l’Euro si può continuare e magari crescere, rinascere e ricostruire, meglio padroni di se stessi e delle proprie scelte che schiavi e sudditi di quelle altrui.

di Elide Rossi e Alfredo Mosca - 11 febbraio 2017