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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

14/03/17

Salvini prende casa a Napoli



 


Matteo Salvini ha scritto, a Napoli, una pagina di storia. Lo ha fatto anche grazie all’aiuto del sindaco Lugi De Magistris, la cui rozzezza istituzionale ha fatto da cassa di risonanza all’iniziativa del leader leghista. Non v’è dubbio che la sfida della Mostra d’Oltremare avesse, nelle intenzioni del proponente, molte valenze. Esterne e interne al suo partito.
A Napoli è stata segnata una tappa decisiva del riposizionamento strategico avviato da Salvini già all’indomani della sua elezione a segretario della Lega. Il processo di riconversione dell’orizzonte politico leghista da movimento di rivendicazione localista a partito sovranista di respiro nazionale costituisce la fase propedeutica a una possibile candidatura alla premiership. Salvini sa bene che non si può ambire alla guida del Paese se non si è in grado di rappresentarne tutte le aree geografiche, non solo alcune. Non è impresa facile giacché vi è un vissuto ultradecennale di ostilità della Lega verso il Meridione. È pur vero che Salvini, in questi anni, ha lavorato di cesello cercando di tracciare intese sul piano pragmatico della difesa degli interessi comuni tra comunità del Nord e del Sud, bypassando le classi dirigenti locali e parlando direttamente ai cittadini. Pescatori, agricoltori, artigiani vessati dall’Unione europea, piccoli imprenditori massacrati dagli studi di settore, pensionati e pensionandi vittime della “Fornero”, persone comuni da tutelare dagli abusi del potere, senza differenze a tutte le latitudini.
Mancava però, al suo racconto, il tassello centrale, la chiave di volta della costruzione: l’incontro con Napoli. La città di Partenope non è, per l’immaginario collettivo, una metropoli qualsiasi: è la capitale storica e morale di un mondo, di una cultura, che incarna, nel bene e nel male, l’essenza della civiltà mediterranea. Napoli non è a sud: è il Sud. Venire a proporsi da protagonista sulla scena napoletana è stato infrangere un tabù. Ha fatto un certo effetto sentirlo pronunciare un molto kennediano: “Napoli è casa mia”. Nondimeno, ha sorpreso la sintonia con la platea di gente accorsa ad ascoltarlo. Una curiosità da applausometro: dopo l’ovazione riservata al leader, l’esplosione di entusiasmo più fragorosa si è avuta quando sullo schermo del palco è apparsa la foto di Marine Le Pen: è venuta giù la sala. Non v’è dubbio che via sia anche calcolo opportunistico nella scommessa salviniana. Lo sfaldamento dei partiti tradizionali, a destra e a sinistra, ha aperto praterie di consenso nell’elettorato napoletano che non possono essere pascolo del populismo prevaricatore di De Magistris e dei suoi pretoriani dei centri sociali e men che meno dei grillini.
Di là dalla propaganda i numeri delle elezioni ultime comunali restituiscono la fotografia di una città delusa che si tiene lontana dalla politica. Su quella massa di scontenti, sensibile alle tematiche securitarie, dell’immigrazione incontrollata, delle politiche per la lotta alla crisi economica e alla povertà, sabato scorso Salvini è venuto a iscrivere la sua ipoteca. Ma la sfida napoletana guardava anche ai difficili equilibri in casa leghista. Non tutti nella Lega la pensano come il “capitano”. C’è Umberto Bossi che è tornato a farsi vedere per tentare di segare il ramo dal quale Salvini prova a cogliere i frutti della sua semina. I dissidenti del Carroccio speravano in un passo falso a Napoli per scatenare una rapida resa dei conti congressuale. È andata male ai “gufi in verde” perché il “capitano” l’ha sfangata e ora può guardare con maggiore tranquillità al suo progetto di allargamento al Sud.
Intanto, oltre l’osso delle solite parole d’ordine, non è mancata la ciccia politica, concentrata nelle battute finali del suo intervento. C’è stata un’apertura importante, sebbene criptata nel messaggio, a Silvio Berlusconi. Il “capitano” prima della standing ovation finale si è lasciato scappare due cosette non da poco. La prima: fatemi fare il ministro dell’Interno e vedrete se in sei mesi non rimetto a posto la situazione. E poi: mi interessa che qualsiasi coalizione di centrodestra si faccia metta avanti l’impegno a sostenere prima gli italiani, poi di primarie, secondarie o altro non m’interessa. Tradotto: se non sarà lui il candidato premier non ne farà un dramma e sulle primarie non intende rompersi la testa. Se non è apertura di dialogo questa?

di Cristofaro Sola - 14 marzo 2017

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