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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

09/03/17

Magistrati in vetrina nelle vicende del Pd


 


Un amico mi ha posto la domanda: “Ma i Pm che indagano su Consip e Tiziano Renzi sono del Partito dei Magistrati?”.
La risposta è sicuramente sì. Ma in realtà c’è molto altro da aggiungere, perché questo è un punto nodale della nostra realtà politico-istituzionale. Né basta aggiungere: “Chi di toga ferisce (e ingrassa), di toga perisce”.
Quello che sta venendo a galla in occasione di queste cosiddette “Primarie” del Partito Democratico supera ogni previsione circa il ruolo invasivo e l’arroganza del “Partito dei Magistrati”. Al contempo dà la prova che questo partito, oramai consolidatosi come partito-istituzione (in ciò precedendo d’assai i progetti di “Partito della Nazione” di Matteo Renzi) subisce la sorte di un po’ tutti i partiti italiani (quelli che c’erano e quello che è rimasto): incrinarsi e dividersi in correnti e, magari, lanciare attorno schegge impazzite.
Io non so se dire quanti della maggioranza “corporativa” del Pdm stiano alimentando la “campagna” Consip-Renzi e quanti, invece di una scheggia impazzita, che, in effetti, pure vi ha messo la sua sigla, lo stile e pure, a quello che sembra, una sorta di sua polizia “personale”. Non so neppure se i media e i loro padroni puntino più sugli “effetti speciali” delle imprese delle schegge impazzite o sulla solidità, durata e “buon fine” del lavoro della maggioranza corporativa del Pdm. Certo è che quello cui stiano assistendo è qualcosa di inimmaginabile in un Paese civile e sedicente libero e democratico. È inutile ricordare che il Pd è, nella sua attuale “unicità” sulla scena politica italiana, il frutto di due diverse ma connesse e coerenti “campagne” giudiziarie condotte dalla magistratura: “Mani pulite” e “l’anti-berlusconismo”. Chi si illudeva che, disarcionato il Cavaliere, il Partito dei Magistrati avrebbe fatto un passo indietro e si sarebbe messo da parte, ha preso un granchio di quelli colossali.
Oggi nelle vicende burrascose e melmose del Pd c’è una vetrina, nella quale fanno bella mostra il Partito dei Magistrati, i suoi uomini, le sue fazioni, le sue mostruosità. Non pretendo qui di farne un quadro completo che renderebbe chilometrico questo scritto.
Emanuele Macaluso, vecchio (più di me!) comunista cristallino, garantista e diffidente verso la politica “processuale”, in una intervista a “Il Messaggero” ha finito per prorompere: “E ci mancava pure Emiliano”.
Certo, la figura di questo strano personaggio è emblematica del ruolo del Partito dei Magistrati e della dipendenza che il Pd ha finito per acquisire verso di esso. Michele Emiliano, anzitutto, ha ingigantito l’importanza dell’intervento diretto e personale dei magistrati in politica, non solo attraverso l’eliminazione dei politici veri, ma con l’occupazione di cariche istituzionali elettive, che fino a qualche tempo fa sarebbe stato erroneo ritenere l’aspetto più rilevante della politicizzazione della magistratura. Ma Emiliano rappresenta anche un altro aspetto singolare, nuovo e poco meditato, di questo fenomeno invasivo delle toghe: è la sedizione giudiziaria, ancora tenue, ma significativa, che con lui si verifica. Emiliano sta violando le regole della corporazione dei magistrati, che fanno divieto anche a quelli di loro che si trovino “fuori ruolo” (così la Corte costituzionale) per incarichi diversi, di appartenere formalmente a partiti politici. Emiliano è fuori ruolo da tredici anni (prima come sindaco di Bari, poi come presidente della Regione Puglia). È iscritto al Pd e, benché sottoposto per questo a procedimenti disciplinari, se ne infischia; non solo, ma del Pd vuole divenire segretario. In questi tredici anni ha sicuramente ottenuto almeno uno “scatto” a categoria superiore (e, quindi, a pensione superiore). Se è consentito ai magistrati (mettendosi fuori ruolo) di candidarsi in liste di partito e di ricoprire cariche elettive, non è loro permesso di iscriversi a partiti politici. Emiliano, lo ripetiamo, se ne infischia.
Siamo, dunque, alla sedizione, che ricorda quella di generali e ufficiali dell’Esercito che sostenevano il fascismo nascente e si mettevano la camicia nera. Ma Emiliano ha pure l’arroganza di contestare l’“incompatibilità” con la candidatura alla segreteria del partito al povero Andrea Orlando, il quale dovrebbe esercitare l’azione disciplinare proprio contro lo stesso Emiliano. Grida al conflitto di interessi (che c’entra come i cavoli a merenda). Un modo come un altro per minacciarlo: guai se l’azione disciplinare va avanti. Lui è un magistrato e può fare quello che gli pare.
Poi, naturalmente, c’è Renzi, che al momento fa la parte passiva del sistema politico-giudiziario-sputtanatorio. Sarà vero o no che già da questa estate Massimo D’Alema aveva annunciato agli amici che tra qualche mese Renzi sarebbe caduto “per via giudiziaria”. Se così fosse sarebbe ancora più grave. Orlando, lo abbiamo visto, è accusato nientemeno che di “conflitto d’interessi” dal “ribelle Emiliano”. Intanto sul Pm anglo-napoletano Henry John Woodcock si è abbattuta la storia della polizia “ambientalista” stranamente usata nell’indagine “sul papà Tiziano” e per la solita fuga di notizie.
Insomma, il Pdm fa proprio bella mostra di sé nella vetrina di queste vicende. Sarebbe ora di smetterla di scherzarci sopra.

di Mauro Mellini - 09 marzo 2017

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