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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

04/05/16

Marò: Luigi Di Stefano, “la battaglia è ancora lunga, dall’Aja sentenza di compromesso”


Roma, 3 mag – Il dispostivo della sentenza del Tribunale Arbitrale dell’Aia di ierisul caso Marò,  più che un “imperio”, come ci si aspetterebbe da un tribunale internazionale, sembra ispirarsi ad un romanesco “volemose bene”. Infatti benchè disponga il rientro in Italia di Salvatore Girone fino alla sentenza definitiva sulla giurisdizione (prevista per metà 2018) rimanda a Italia e India il concordare le modalità di rientro, e la votazione alla “unanimità” (quindi anche del giudice indiano) certifica una sentenza di compromesso. Per cui ci si aspetta da parte indiana una serie di cavilli, distinguo e rinvii per mostrarsi “sovrani” alla propria opinione pubblica: l’esempio stavolta è il napoletano “facite ‘ammuina”. Però, meglio di niente. Ma a questo punto è necessario spiegare, almeno a parer mio, la vera natura di questa vicenda perché l’opinione pubblica italiana, dopo i primi due governi Monti e Letta in stato di “appecoronamento” sulle posizioni indiane (supportati dalla “grande stampa”), i vani tentativi del governo Renzi di portare l’India a una soluzione di compromesso e infine il ricorso italiano al Tribunale Internazionale (va dato atto a Renzi di averci sollevato il 26 giugno 2015 dalla umiliante “strategia dell’appecoronamento” seguita in precedenza), ci capisce poco o nulla. Quindi direi che almeno noi lettori de Il Primato Nazionale possiamo affrontare i fatti (non la loro edulcorazione babbea sugli “assassini di pescatori”) secondo logica e elementari conoscenze di politica internazionale. Nella vicenda Marò l’India si è imbarcata in una operazione di politica di potenza che fanno tutti gli Stati. Anche noi (a ragione) consideriamo il Golfo di Taranto acque interne e diamo la caccia ai sottomarini stranieri che entrano (entrano per “saggiare” la nostra capacità di risposta e “valutare” le caratteristiche operative dei nostri sottomarini killer). 

Sono almeno tre gli elementi che hanno convinto le autorità indiane a montare la vicenda Marò.
Ma è necessario preventivamente ammettere l’evidenza di alcuni fatti:
– Fin dalla sera dei fatti le autorità indiane sapevano che la sparatoria contro il peschereccio era avvenuta alle 21.30, e quindi avevano preso la nave sbagliata, o coscientemente addebitato alla nave italiana una sparatoria avvenuta altrove (forse la nave greca, problemi loro). Abbiamo le prove dell’uno e dell’altro.
– Fin dalla mattina dopo i fatti gli indiani montano il “caso Enrica Lexie” portando sottobordo un falso peschereccio St. Antony, facendo le fotografie da un aereo e le diffondono sul web (vedi l’immagine, il vero peschereccio St. Antony è a Neendakara, 200 Km a sud, hanno organizzato la passarella la notte).

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– Fin dal pomeriggio del giorno successivo ai fatti, gli indiani hanno la conferma che i nostri militari sono estranei alla morte dei pescatori, stante i risultati dell’autopsia

.
Chiarito questo, che non è una mia ipotesi ma “prove” verificabili da chiunque, vediamo la “politica”
. Partendo da Sonia “Maino” Ghandi, di origine italiana e che per la morte di suo marito Rajiv in un attentato si è trovata erede della dinastia Ghandi. All’epoca dei fatti era leader del Partito del Congresso al governo, odiatissima sia dai nazionalisti che all’interno del suo stesso partito, è stata attaccata politicamente in merito alla vicenda Marò e infine costretta a farsi da parte affidando la direzione del partito al suo figlio maggiore. Ma non è servito perchè alle elezioni ha vinto il Partito Nazionalista di Modi, mandando all’opposizione il Partito del Congresso. E immediatamente dopo la sentenza di ieri un uomo politico indiano ha “cavalcato” in chiave mediatico-nazionalista questo aspetto della vicenda (vedi immagine tratta da FB)

. In secondo luogo va analizzato il fattore “Nazionalismo”, usato come collettore di consenso politico in una società orgogliosissima ma che ancora soffre di sudditanza psicologica verso la Gran Bretagna e l’Occidente in genere. E quindi “sfidare l’Occidente” crea consenso (tipo i generali argentini con la guerra delle Falkland del 1982). In ultima istanza va considerato il ruolo di “potenza regionale” che l’India vuole ritagliarsi dominando le rotte marittime che lambiscono il suo meridione.

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Basta guardare l’immagine (tratta da un bollettino della Guardia Costiera indiana) per vedere che circa il 25/30% del traffico mercantile del pianeta passa rasente al Kerala, quindi l’interscambio commerciale fra Europa e Oriente e il flusso di petrolio dal Medio Oriente verso l’Oriente (Giappone, Indonesia, Cina, Corea etc).
 Riuscendo a “processare” due militari in servizio l’India “di fatto” estende la sua sovranità fino a 200 miglia dalla costa (anzichè le 12 miglia delle acque territoriali). E ottiene la “sovranità” su un terzo del traffico mercantile del pianeta. 

Hanno preso la palla al balzo senza lasciarsi sfuggire l’occasione e la passarella mediatica organizzata nella rada di Kochi la mattina dopo i fatti, col falso peschereccio portato sotto la murata della Enrica Lexie sta a dimostrarlo. La dabbenaggine delle autorità italiane ha fatto il resto. Direi che le autorità politiche indiane hanno ben imparato dagli inglesi che la capacità di proiezione di potenza sugli oceani è fondamentale per essere una “Potenza”. A volte “SuperPotenza”.

 Però francamente, prendersela con noi con le bagnarole della Guardia Costiera per atteggiarsi a Potenza Regionale non mi sembra proprio serio. Poi, se qualcuno vuol credere che i nostri militari hanno fatto il tiro a segno sui pescatori, a dire che Gesù Cristo è morto di freddo, padronissimo.

Luigi Di Stefano

Aggiunto da Redazione il 3 maggio 2016.

 

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