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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

23/02/16

Il caso marò e l’auto-percezione dell’India come potenza

Il caso marò e l’auto-percezione dell’India come potenza



Sono ormai passati già quattro anni dal caso dell’Enrica Lexie che ha causato un duro scontro diplomatico tra Italia e India, la cui soluzione appare ancora lontana. La questione che ha coinvolto i due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dopo anni di polemiche a proposito del conclamato mancato rispetto del diritto internazionale da parte indiana, su chi avesse la giurisdizione del caso e sull’immunità funzionale dei due militari, è ora interamente gestita dalla Corte permanente di arbitrato (CPA) dell’Aja. Tuttavia, la sentenza non dovrebbe arrivare prima dell’agosto 2018, quando saranno passati più di sei anni dall’incidente del 15 febbraio 2012, ammesso che lo stesso tribunale non decida di allungare ulteriormente i tempi per la presentazione delle dichiarazioni delle due parti in accordo con le stesse. Massimiliano Latorre resterà in Italia almeno fino al 30 aprile 2016; bisognerà attendere poi il pronunciamento della Corte Suprema indiana per un’eventuale proroga del permesso per i motivi legati alle cure mediche che lo riguardano. Per quanto concerne Salvatore Girone, il 30 e 31 marzo 2016 la Corte dell’Aja esaminerà la richiesta italiana indirizzata al trasferimento del fuciliere dall’ambasciata di New Delhi in cui risiede in Italia, dove potrebbe attendere la sentenza definitiva.
Gli ultimi mesi, a parte le questioni tecniche collegate all’arbitrato internazionale, non sono stati caratterizzati da sviluppi di rilievo, salvo due questioni. La prima risale al settembre 2015, quando emerse la notizia secondo la quale, in base ai documenti relativi all’autopsia svolta sui corpi dei due pescatori Ajesh Binki e Valentine Jelestine, i proiettili che li hanno colpiti a morte non sarebbero in dotazione ai militari italiani. Le pallottole estratte erano infatti più lunghe (31 millimetri) rispetto a quelle calibro «5.56X45» Nato in dotazione ai fucilieri di marina (23 millimetri). Su richiesta italiana questa questione è stata posta all’attenzione della Corte permanente dell’Aja, anche se altre notizie non confermano questa versione.
All’inizio del febbraio 2016 è apparsa invece sulla stampa indiana una ricostruzione («The Telegraph» di Calcutta), in maniera scontata poi smentita dal Ministero degli Esteri indiano, in base alla quale New Delhi avrebbe offerto di lasciar liberi i due marò in cambio di informazioni compromettenti che collegassero Sonia Gandhi (Presidente del Congresso – oggi all’opposizione) o la sua famiglia alle presunte tangenti pagate per la fornitura all’India, poi bloccata, degli elicotteri Augusta/Westland. Questo accordo sarebbe stato raccontato dall’ex agente commerciale Christian James Michel, che cita questa vicenda in una lettera inoltrata alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja e al tribunale internazionale dell’ONU sul diritto del mare.
L’intransigenza dell’India verso la questione dei due fucilieri di marina è collegata alla tradizionale visione della politica estera indiana in Asia meridionale, dove New Delhi si riserva il diritto di difendere i propri interessi mettendo in secondo piano il diritto internazionale.
A parte queste notizie e la necessaria cautela, non ci sono altre fondamentali novità mentre l’attesa per i due fucilieri rimane ancora lunga. Tuttavia, per quanto riguarda l’India e considerato che sono passati ormai quattro anni dall’accaduto, è possibile tracciare una breve analisi sull’operato del paese asiatico, collegandolo, in una prospettiva storica, alla tradizionale visione della politica estera di New Delhi nel periodo post-indipendenza in particolare nel contesto regionale.
A livello storico non possiamo sapere nulla di concreto sul caso marò, visto che ci vorranno diversi anni prima di offrire, attraverso i documenti, una chiave di lettura tendenzialmente obiettiva di una vicenda oggi con molti punti oscuri e dai contorni sfumati. Malgrado questa considerazione, è possibile comunque analizzare l’azione di New Delhi legandola alla storia recente del subcontinente. Per quanto concerne possibili spiragli diplomatici, nonostante ci siano nella stampa indiana voci contrarie all’operato dei governi Singh e Modi coinvolti nel caso e più vicine alle posizioni italiane, è altamente prevedibile che l’India manterrà una linea risoluta anche nei prossimi mesi.
Nel corso della sua storia post-indipendenza, New Delhi ha sempre infatti difeso, anche con la forza, interessi considerati vitali per lo Stato in ambito regionale promuovendo una politica di potenza. Tralasciando il caso dei rapporti con il Pakistan, che porterebbero a considerazioni più complesse, basta citare le operazioni militari all’indomani dell’indipendenza, come quella che coinvolse lo Stato di Hyderabad nel 1948, l’occupazione di Goa nel 1961 con il termine dell’Impero portoghese in India, oppure le continue ingerenze nei confronti di Bangladesh, Maldive, Nepal e Sri Lanka, sempre mal digerite da vicini più piccoli. Senza dimenticare il programma nucleare, iniziato già negli anni Cinquanta, e il primo esperiemento del 18 maggio 1974, nome in codice Smiling Buddha e primo test di uno Stato non presente all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ovviamente l’Italia non ha posto una minaccia militare concreta all’India perché il caso diplomatico deriva da un incidente nell’ambito della cooperazione internazionale indirizzata alla comune lotta contro la pirateria nell’Oceano Indiano. La posizione dell’India e l’intransigenza del paese verso il caso sono però spiegabili collegandole alla auto-percezione del proprio ruolo in Asia meridionale, dove è avvenuto appunto l’incidente: sostanzialmente, ciò che avviene in un’area d’interesse primario (subcontinente), acque internazionali o meno, riguarda solo ed esclusivamente l’India. In questo modo è comprensibile il motivo per cui, posta l’indipendenza del potere giudiziario nel paese, in generale il potere politico non intenda arretrare da posizioni che possono apparire ai nostri occhi risolute in difesa dell’interesse nazionale, anche a discapito del diritto internazionale. È certamente vero che sono morti due cittadini indiani, ma questo fatto è posto in secondo piano nel tradizionale discorso inteso a difendere l’interesse dello Stato in ambito regionale. Oltre a ciò vi è da aggiungere che in un contesto più generale, come sosteneva alcuni anni l’ex ambasciatore a New Delhi Antonio Armellini, la politica estera dell’India «tradisce una visione dei propri interessi a livello globale che sfiora l’arroganza (vecchio vizio, questo, duro a morire)»1. L’auto-percezione dell’India è quella di avere fin dal 1947 una sorta di missione globale, con riferimenti sia all’etica (Gandhi, Nehru, ecc.) che alla politica di potenza (dominio del contesto regionale).
A maggior ragione e una prima lettura, un governo come quello di Narendra Modi non appare indirizzato a una linea morbida verso l’Italia perché è portatore di un immaginario collettivo predisposto a incoraggiare, sia all’interno che all’esterno, anche se spesso ciò è naturalmente molto enfatizzato, la visione di un’India forte, autonoma, moderna e in ascesa. È un governo, come tanti altri contemporanei in altre aree geografiche, basato sull’immagine personalistica del leader, il quale deve apparire come il protagonista principale della politica estera indiana2. Una prospettiva accondiscendente verso l’Italia sarebbe controproducente per questo tipo di narrazione perché potrebbe essere percepita come remissiva in una fase per giunta in cui Modi sta attraversando altri problemi interni (basti citare i casi della rivolta studentesca in corso alla Jawaharlal Nehru University, o le rimostranze legate a questioni di casta, comunità Patel in Gujarat e Jat in Haryana).
Eppure, una via per rendere Modi più “morbido” potrebbe essere collegata ai rapporti che l’India ha con Stati Uniti ed Europa, e alla realpolitik. Al di là del diritto internazionale, un problema per la posizione italiana è che i nostri alleati (Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna) stanno puntando molto sulle proprie relazioni bilaterali con l’India e non sono sostanzialmente interessati al caso-marò. Gli USA, che fin dall’inizio considerarono il caso un problema esclusivamente italiano e indiano, vorrebbero inserire l’India all’interno del MTCR (Missile Technology Control Regime). L’Italia ha però bloccato lo scorso ottobre 2015 l’ingresso di New Delhi nell’organizzazione. Nel corso dell’ultima visita in India nel gennaio 2015 in quanto ospite d’onore del Republic Day indiano, il Presidente americano Obama si era espresso favorevolmente all’ingresso dell’India in altri organismi di rilievo globale (Nuclear Supplier Group, Wassenaar Agreement, Australia Group), dicendosi anche pronto a sostenere la candidatura di New Delhi quale membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Supporto confermato nell’aprile 2015, che si aggiunge al sostegno anche della Gran Bretagna. La prossima riunione per il MTCR sarà in primavera, Washington medierà tra Italia e India?
Gli Stati Uniti sostengono l’India e il governo Modi in diversi organismi multilaterali. La decisione italiana di bloccare l’ingresso di New Delhi nel MTCR potrebbe portare a un interessamento di Washington nei confronti dello scontro diplomatico tra Italia e India.
Per quanto riguarda l’Europa, divisa nel proprio approccio nei confronti dell’India poiché viene preferito dai singoli Stati membri un approccio esclusivo con il paese asiatico piuttosto che comunitario, in una recente risoluzione del Parlamento Europeo a proposito dei cittadini dell’Unione detenuti in India e inviata a governo, Parlamento e Stati membri della Federazione indiana c’è un brevissimo riferimento alla pirateria internazionale e ai due fucilieri. Tuttavia è molto poco per le aspettative italiane e probabilmente ciò è stato fatto per non urtare la sensibilità dell’India, con la quale l’UE è per giunta in trattative da diversi anni per finalizzare un Trattato di libero scambio.
La risoluzione della questione sarà dunque ancora molto lontana. In ogni caso, dall’intera vicenda sarà importante per l’Italia comprendere, per i suoi futuri rapporti con l’India, sia in momenti di positiva collaborazione, i quali hanno contraddistinto la maggior parte della storia dei rapporti bilaterali Roma-New Delhi, sia in fasi delicate e di aperta rottura diplomatica come quella attuale, che è necessario abbandonare passate visioni stereotipate in rapporto a questo Stato (paese del cosiddetto Terzo mondo, dedito alla spirtualità e alla non-violenza, ecc.), considerando invece una più ampia e complessa gamma di prospettive.


NOTE:

Francesco BRUNELLO ZANITTI è Direttore Scientifico dell'IsAG.

 
 

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