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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

18/12/15

SOLDI SPARITI NELLE BANCHE? SEMPLICE, SI TRATTA DI FURTO


BANCA ETRURIA 1

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Non è populismo da quattro soldi ri-segnalare l’inquietante strapotere, nonché la sostanziale impunibilità, delle banche nel mondo finanziarizzato di oggi. Né l’altrettanto inquietante acquiescienza della politica nei loro confronti.
Né ri-ripetere che, mentre l’Unione Europea approvava la partecipazione dei depositanti al salvataggio delle banche etc, i saggi contestatori nostrani erano impegnati a protestare, per lo più senza sapere perché, contro la buona scuola o l’alta velocità ignorando le enormità che si decidevano a Bruxelles per il semplice motivo che non erano in grado di capirle.
Non è populismo da quattro soldi ma certamente è fare come Don Chisciotte contro i mulini a vento. Perché per ora contro la finanza il mondo ha perso.
Solo poche considerazioni che mi vengono in mente sulla vicenda delle banche fallite e dei risparmiatori derubati.
  1. Derubati, si perché di furto si tratta. E’ vero che se uno investe soldi in un’impresa qualsiasi, se poi questa va male i soldi si perdono e non è lo Stato che deve rimborsare lo sfortunato investitore. Ma è anche vero, nella sostanza autentica delle cose, che chi mette i soldi in una banca non li investe ma, come dice la parola stessa, li deposita; glieli dà perché la banca li custodisca. E li custodisca, nel caso dei conti correnti, senza nemmeno che il depositante ci guadagni: oggi i conti correnti non danno nulla, anzi si paga perché la banca tenga i nostri soldi. Per cui la banca con i nostri depositi non deve rischiare proprio niente. Perché noi in soldoni diciamo alla banca: tieni i miei soldi, questi restano sempre miei, non te li giocare a poker, non farci le tue speculazioni, non prestarli ai soliti furbetti e quando mi servono me li ridai. Se non lo fai, me li hai tecnicamente rubati.
  2. E’ escluso che un conto corrente sia un investimento o una forma di compartecipazione  ai destini della banca anche perchè siamo di fatto costretti ad aprirne uno: molte operazioni indispensabili o addirittura obbligatorie (l’accredito di uno stipendio, pagare le tasse e via dicendo) la politica ha stabilito che si possano fare solo tramite banca. E’ pertanto concettualmente assurdo che i conti correnti (anche se solo i più alti) debbano contribuire a salvare delle strutture che i nostri soldi semplicemente li ospitano.
  3. A maggior ragione il discorso vale per i titoli: si parla infatti di custodia titoli e la proprietà dei titoli resta la nostra.
  4. Qualcuno potrà obiettare: si, questo vale per i titoli di Stato o di aziende; ma chi compra azioni o obbligazioni di una banca diventa comproprietario o creditore della banca e se questa fallisce o va salvata, i comproprietari e i creditori sono coinvolti. Tralascio per brevità il tema delle azioni.
  5. Quanto alle obbligazioni, non ci prendiamo in giro. Nessuno o quasi dei piccoli o medi obbligazionisti della Banca Etruria intendeva finanziare l’istituto, assumendosi il rischio d’impresa. Voleva solo non mettere i suoi soldi sotto il materasso, voleva solo che la banca li custodisse assicurando un modesto rendimento e non era proprio in grado di sapere che, se avesse comprato un’obbligazione di Mediobanca o un BTP, quei titoli sarebbero restati del tutto suoi; se invece avesse comprato comprato obbligazioni della sua banca, quella sotto casa di cui si fidava, questi sarebbero andati persi nel caso di difficoltà o di cialtroneria della banca medesima.
  6. Aggiungo: non posso più reggere la pubblicità delle banche quando parlano di un consulente a tua disposizione per gestire al meglio i tuoi investimenti, magari utilizzando qualche sofisticato (e fasullo) strumento di analisi. Una buona parte di queste signore e questi signori hanno un solo scopo, come è del resto umano, basta saperlo: cercare di guadagnare di più sulla base di quello che riescono a venderci (si dice “raggiungere gli obiettivi”) e questo accade se eseguono le direttive della banca che dice loro “Cercate il più possibile di vendere il prodotto A o il titolo B; non importa se c’è bisogno alle volte di non essere proprio chiari o di nascondere qualche cosa”.
E per concludere: quando una banca comunica i suoi risultati al mercato ed esulta perché ha fatto utili pazzeschi (magari superiorissimi all’anno prima pur a parità di raccolta), il così detto mercato dice bravo ai dirigenti della banca. Io invece penso che, se una banca guadagna spropositatamente, c’è proprio qualcosa che non va. L’analisi del perché sarebbe qui veramente troppo complicata. Comunque, se i profitti sono altissimi, i primi beneficiari dovrebbero essere quelli che danno alla banca la sua materia prima. Cioè i soldi. Cioè noi. E così non è.


Angelo Baiocchi - 17 dicembre 2015

TURCHIA/ISIS/JIHADISTI SIRIANI : " Il sarin di Ghouta era dell’ISIS e veniva dalla Turchia "


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Per quella strage gli occidentali stavano per scatenare un attacco aereo e missilistico contro il regime di Assad, poi scongiurato dalla mediazione russa che portò al disarmo chimico delle forze governative di Damasco. Due anni e mezzo dopo, all’ombra della crisi tra Mosca e Ankara, emerge una “nuova verità” che conferma i tanti dubbi sorti all’epoca circa le responsabilità dei ribelli per la morte di centinaia di civili (fonti diverse riferirono di un numero di vittime variabile tra 280 e oltre 1.700).
Secondo il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem (nella foto sotto)  I jihadisti siriani dello Stato Islamico  avrebbero ricevuto il materiale per produrre il gas Sarin dalla Turchia: lo afferma in un’intervista a Russia Today, emittente vicina al Cremlino.


Il sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver “insabbiato” il caso.
L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti.
Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato assicura che le intercettazioni confermano che un militante di al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del sarin.
Tutto sarebbe contenuto nel faldone “2013/120″, l’indagine che venne poi archiviata. “Ci sono dati sostanziali in quelle carte”, dice Erdem a RT. “Si capisce che il materiale usato per le armi chimiche passa attraverso la Turchia e viene assemblato nei campi dello Stato Islamico che all’epoca era anche onosciuto come al-Qaeda irachena.


E’ tutto registrato. Ci sono intercettazioni che dicono ‘non ti preoccupare per la frontiera, ci pensiamo noi’ e si comprende chiaramente come vengono usati i burocrati”. A questo punto il procuratore di Adana Mehmet ArOkan ordina un blitz e 13 persone vengono arrestate.
Poi, secondo Erdem, avviene ‘l’inspiegabile’. Una settimana dopo il caso viene chiuso e i sospettati passano immediatamente la frontiera turco-siriana.
“Le intercettazioni chiarivano come sarebbe avvenuta la consegna, quali camion sarebbero stato usati… tutto documentato dalla A alla Z: nonostante gli indizi, i sospettati sono stati rilasciati.


E la consegna del carico è avvenuta, perché nessuno li ha fermati. Forse l’uso del Sarin in Siria dipende da questo”.
Sempre secondo Erdem, i turchi coinvolti nel traffico sarebbero poi legati alla ‘Makina ve Kimya Endustrisi Kurumu’ (MKEK), ovvero la principale holding governativa di industrie per la difesa, e che gli indizi porterebbero verso un intervento delle autorità per insabbiare il caso, con il possibile coinvolgimento del ministro della Giustizia Bekir Bozdag.
“Il procuratore ArOkan – continua Erdem – non era, per quanto ho capito, uno potente; così una settimana dopo gli arresti un altro Pubblico Ministero è stato assegnato al caso e il caso è stato chiuso”.
“Per l’attacco coi gas di Ghouta sono state incolpate le truppe governative siriane”, conclude Erdem. “Ma c’è un’alta probabilità che quell’attacco sia stato compiuto con questi materiali transitati dalla Turchia. Con queste prove sappiamo chi ha usato il Sarin e lo sa anche il nostro governo”.

(con fonte ANSA)
Foto Reuters e CHP

di Redazione18 dicembre 2015
fonte: http://www.analisidifesa.it

17/12/15

Marò, la protesta di Latorre contro Renzi: si oscura su Facebook


Il marò ancora formalmente detenuto dall'India esprime la sua protesta per lo stallo in cui il governo Renzi sta mantenendo la vicenda



Una protestra silenziosa, ma pungente. Senza parole dirette, perché Massimiliano Latorre rimane pur sempre un militare, pronto ad accettare quello che gli chiede lo Stato e la Patria che ha promesso di servire.




Però dopo tre anni di carcerazione, un ictus, la degenza in Italia con l'idea di sapere il commilitone Salvatore Girone ancora in India, la pazienza può anche finire.
Così Latorre, ieri mattina, ha oscurato il suo profilo Facebook. L'immagine di copertina e quella del profilo sono diventate due figure nere. Completamente nere. Come, forse, l'animo del marò. I suoi follower sui social hanno subito interpretato questa mossa come una protesta contro il governo Renzi. Che appena insediato chiamò al telefono i due fucilieri, promettendo di riportarli a casa, ma lasciando poi tutto nel limbo. Girone, infatti, nonostante le richieste del governo, passerà l'ennesimo Natale in India. La corte dell'Aja, infatti, si occuperà della vicenda a vacanze ultimate.
Intanto ieri Matteo Renzi è andato in Parlamento a parlare del Consiglio europeo che si svolgerà a breve, ma non ha citato i marò. Dovrebbe puntare i piedi in Europa (considerando che l'ambasciatore europeo Tomasz Kozlowzki ha detto che questa "è una questione che coinvolge direttamente l'Ue), ma non sembra volerlo fare.
E così, per fargli comprendere il disappunto, Latorre oscura il suo profilo. Nell'attesa che qualcuno faccia luce sulla vicenda.




Giuseppe De Lorenzo - 17/12/2015
fonte: http://www.ilgiornale.it

15/12/15

IMMIGRAZIONE: "Bologna, Università gratis per i richiedenti asilo"

Il senato accademico ha deciso di permettere l'iscrizione gratuita a tutti i richiedenti asilo. Non solo quindi quelli che le commissioni hanno dichiarato "rifugiati politici"


L'Università gratis se sei un richiedente asilo. Le nuove norme sull'ISEE hanno mandato su tutte le furie gli studenti (italiani) che si sono trovati spiazzati dal nuovo calcolo che ne eslude moltissimi da borse di studio e sovvenzioni statali. 




Però il senato accademico dell'Università di Bologna non ha pensato a loro, ma agli immigrati.
Dall'anno prossimo, infatti, potranno diventare studenti della più antica Università italiana tutti i "richiedenti asilo", senza pagare le tasse. Attenzione. Bisogna stare molto attenti alle parole utilizzate. Il Senato, infatti, non ha riservato questo privilegio ai "profughi", ovvero i migrati che una Commissione incaricata dal governo ha già determinato essere effettivamente degni di ottenere protezione internazionale. Ma tutti, indistintamente.
Chiunque mette piede nel territorio bolognese potrà - in linea di principio - fare richiesta d'iscrizione gratuita. Anche i terroristi, per dire. Perché l'accettazione non tiene conto dei parere della Commissione territoriale per la richiesta di asilo politico. Ma la anticipa.
E questo nonostante più di una denuncia pubblica da parte degli addetti ai lavoro abbia dimostrato che non tutti dei migranti ottengono poi il permesso di soggiorno. La maggioranza di loro incassa un netto diniego e dovrebbe, in teoria, essere espulso in quanto clandestino. Una mediatrice culturale, qualche settimana fa, raccontò proprio a ilGiornale.it come molte delle storie di sofferenza dei migranti sono false e imparate a memoria.

Al Rettore dell'Alma Mater Studiorum, evidentemente, non interessa. "Questa decisione - spiega in una nota Alessandra Scagliarini, prorettore per le relazioni internazionali- accoglie l'invito della Commissione europea a sviluppare forme di integrazione per gli studenti costretti a interrompere il proprio percorso formativo perché perseguitati o in fuga da zone di guerra". Quello che l'Università non spiega è che in realtà le persone cui permette di iscriversi (richiedenti asilo, richiedenti protezione internazione e rifugiati politici) non sono tecnicamente persone "in fuga da guerre". Lo sono potenzialmente, ma finché la Commissione non avrà concesso loro il permesso di soggiorno non possono godere di questo status.
Così non solo rischia di regalare un diritto (e molti fondi) a persone che probabilmente non lo meritano, ma discrimina gli italiani. E' come se l'Università e lo Stato concedessero borse di studio per reddito a tutti coloro i quali ne fanno domanda, senza controllare se sono veramente bisognosi.

C'è poco da fare. E' l'Italia, ragazzi.

CONTRATTO PER LA PAGHETTA DI NATALE”

Sì del Governo al bonus di 80 euro mensili per le forze dell'ordine ad eccezione delle Capitanerie di porto. Lo prevede l'emendamento presentato dall'esecutivo oggi in Commissione Bilancio alla Camera nel corso del rush finale sulla legge di stabilità.

"Pecunia non olet", così affermavano i nostri avi per significare che è difficile dire di no al denaro ma non possiamo non rilevare che questo è un modo per eludere l'obbligo specifico di rinnovare il contratto nazionale di lavoro che deve avere valore dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale ossia dal 28 luglio 2014. E’ il commento di Gianni Tonelli, segretario del Sap. 960 euro una tantum senza valore né sulla liquidazione né sulla pensione, per un totale di circa trecento milioni di euro per la categoria del comparto sicurezza e difesa è un prezzo troppo blando con il quale si elude un obbligo ben preciso.
Noi del SAP vogliamo il contratto perché questo zuccherino ha valore solamente per un anno e non avrà alcun riflesso previdenziale.
Se con la stessa somma di denaro si andasse a stipulare un contratto in cui andrebbe necessariamente finanziata anche la parte normativa, al netto delle trattenute previdenziali e fiscali corrisponderebbe solamente trenta euro netti ad un Agente.


Questi 80€ al posto del contratto rappresentano la legalizzazione del LAVORO NERO.
Ribadendo che il denaro non fa schifo a nessuno io affermo che questa mi sembra una emerita furbata e neppure tanto bella.
Resta chiaro che ci hanno fregato anche i cinque mesi trascorsi dalla pubblicazione della sentenza.
Il SAP chiede un contratto che parta dal 28 luglio 2014, con efficacia naturale per gli anni a venirne, con un aumento netto per un Agente di 100€ a salire per le altre qualifiche e una una tantum di 1500€ a parziale risarcimento per il denaro illegittimamente sottratto nei sei anni di blocco, oltre al finanziamento della parte normativa.
Ci dispiace ma NON riusciamo a dire GRAZIE.


Le forze dell’ordine non meritano tale trattamento, dichiara amareggiato Igor Gelarda, Dirigente del sindacato di Polizia Consap. Come avevamo denunciato più volte non è con questo tipo di interventi che si può aumentare la sicurezza di un paese, né tantomeno rendere i professionisti della sicurezza più soddisfatti. Questo Bonus eccezionale e quindi temporaneo, come eccezionali sono le condizioni che hanno portato il Governo a stanziarlo, sparirà come Cenerentola alla mezzanotte del 31 dicembre del 2016!


Dopo 5 anni di contratti bloccati, con una perdita che si aggira mediamente tra le 200/300 euro al mese,  e quindi migliaia di euro negli anni; dopo il blocco del tetto retributivo, successivamente sbloccato, ma senza diritto agli arretrati, sono questi sono gli spiccioli che si meritano chi difende i cittadini? Inoltre quello che non viene detto è che sono previsti anche “sacrifici” sul monte ore straordinario che, con la difficoltà d’organico delle forze di polizia, diventa necessario per potere gestire i problemi quotidiani. Quasi 13 milioni verranno tolti alla Polizia di Stato dal monte ore dello straordinario.
14 dicembre 2015
http://www.infodifesa.it

14/12/15

Le Pen battuta dall’inciucio Sarkò-Hollande

Il voto francese

Sette regioni ai Republicains, cinque al raggruppamento di sinistra a guida socialista 


FRONT NATIONAL CAMPAIGN MEETING, PARIS
Il «solito» secondo turno, questa volta delle Regionali, frena ovunque il Front National e premia il «fronte repubblicano» a targhe alterne. Sette regioni di Francia sono andate ai Republicains e agli alleati centristi e cinque al raggruppamento di sinistra a guida socialista. Il vincitore, ai numeri, è Nicolas Sarkozy che conquista la più importante regione, l’Ile de France, e salva François Hollande dal «record» di poter diventare il primo presidente di Francia ad aprire le porte di una grande istituzione ai Le Pen. Più che soddisfatto di aver impedito la vittoria lepenista invece è il premier Manuel Valls («In un momento grave, non abbiamo ceduto niente»), nonostante l’onta di aver costretto i suoi a sostenere candidati di destra non proprio «moderati» pur di stoppare il Fn. Sconfitta Marine Le Pen che in Nord-pas-de-Calais perde appunto con il repubblicano Xavier Bertrand e Marion Le Pen che in Paca è stata battuta da Estrorsi, così come Florian Philippot in Alsazia. Festeggia Sarkozy per il quale «l'unità nel partito, l'unione con il centro e il rifiuto di ogni compromesso con l'estrema destra ha permesso questo risultato. Questi principi devono restare nostri anche in futuro». Anche se i due vincitori dei Republicains con Marine e Marion hanno comunque ringraziato gli elettori socialisti, legittimando quell’union sacrée dai cui Sarko si era cercato di smarcare. A determinare il brusco stop al Fn non solo il «patto repubblicano» ma anche l’alta affluenza, che con il 59% ha nettamente superato la percentuale del primo turno e si è rivelata un’arma utile in chiave antilepenista. Contro il Front National è scattata anche la corsa alla «procuration» nei commissariati: ossia le richieste di delega amministrativa con cui gli elettori lontani da casa e impossibilitati a recarsi al seggio hanno autorizzato i familiari a votare al loro posto. Dal suo comitato di Henin-Beaumont Marine Le Pen nonostante la delusione non ha perso lo smalto e ha rilanciato il dato sociopolitico sul quale sta già innervando la sua campagna in vista delle Presidenziali: «Ora la divisione non è più tra destra e sinistra ma tra i mondialisti e i patrioti. Viva la Francia, Viva la Repubblica!», ha spiegato sottolineando come l’alleanza «repubblicana» sia in realtà il volto delle élite al servizio degli interessi antinazionali. Il dato che emerge da questo secondo turno, infatti, è che per fermare il Front National si sono dovuti unire tutti i partiti, inclusi radicali di sinistra: un referendum che cristallizza così uno dei motivi retorici più cari a Marine. I risultati di oggi, ha concluso il leader del Front, non scoraggeranno «la inesorabile ascesa, elezione dopo elezione, di un movimento nazionale» che sta dietro al nostro partito. A Marine Le Pen è subito giunto il messaggio dell’alleato italiano più stretto, Matteo Salvini per il quale contro di lei «hanno dovuto fare un'ammucchiata, tutti insieme, sinistra e finta destra, socialisti e repubblicani, banchieri e giornali. Ma ormai la riscossa delle persone perbene non la ferma più nessuno, potranno rallentarla ma non bloccarla: grazie Marine!».

Antonio Rapisarda - 14 dicembre 2015

fonte:http://www.iltempo.it

13/12/15

TURCHIA - "Bottino di guerra turco "


Non solo il petrolio low cost dell’Isis. Ankara specula in molti modi sulla tragedia siriana. Mentre la Nato giustifica il paese socio





Non è solo questione del petrolio di contrabbando proveniente dai pozzi petroliferi occupati dall’Isis, che secondo i russi farebbe la fortuna di un figlio e di un genero di Erdogan. La Turchia e i turchi hanno spogliato e ancora stanno spogliando materialmente la Siria in molti modi. Il petrolio è solo uno dei capitoli della storia. Fa un po’ sorridere che il comunicato finale della riunione dei capi di Stato dell’Unione Europea (Ue) col primo ministro turco Ahmet Davutoglu il 29 novembre scorso a Bruxelles citi esplicitamente la cifra che Ankara avrebbe speso dal 2011 a oggi per far fronte all’emergenza profughi siriani sul suo territorio. «Avendo la Turchia accolto più di 2,2 milioni di siriani e avendo speso 8 miliardi di dollari», si legge nel comunicato del Consiglio europeo, «la Ue ha sottolineato che era importante condividere il peso nel quadro della cooperazione Turchia-Ue». Gli 8 miliardi vengono menzionati al fine di giustificare l’impegno europeo a «fornire una prima tranche di risorse supplementari di 3 miliardi di euro», da tutti interpretato come un segnale di cedimento a un ricatto e di debolezza politica.
Degli 1,5 milioni di migranti irregolari che hanno raggiunto l’Europa quest’anno, la metà è arrivata dalla Turchia passando per la Grecia. Siriani per la maggior parte, ma non solo. Tutti hanno attraversato un tratto di mare pattugliato da decine di imbarcazioni militari turche impegnate a far rispettare le proprie acque territoriali, ma che per mesi non hanno visto niente sia quando i viaggi procedevano come previsto, sia quando le imbarcazioni naufragavano e centinaia di profughi morivano annegati. Occhiuti quando si tratta di abbattere jet russi e giustificati poi dalla Nato, i turchi diventano miopi in mare. Quando dalla Grecia i superstiti sono sciamati a centinaia di migliaia in tutta Europa, l’Unione ha dato il consueto spettacolo di disunione. Non riuscendo a decidere se doveva accoglierli o respingerli, sta cercando di attuare una terza soluzione: pagare chi glieli ha mandati perché smetta di mandarli. Da qui l’accordo con la Turchia, che si impegna a trattenerli sul suo territorio in cambio degli aiuti finanziari europei e del rilancio del processo di adesione del paese all’Unione. Bloccato praticamente da dieci anni a questa parte a causa dei ripensamenti di Francia e Germania e dell’evidente impossibilità per i turchi di fare progressi su certi capitoli del negoziato, il processo di adesione è stato riavviato da una dichiarazione firmata dai leader europei e dal primo ministro Davutoglu appena due giorni dopo l’arresto del direttore e del caporedattore di Cuhmuriyet, il giornale che aveva documentato collusioni fra i servizi segreti turchi e l’Isis. Bruxelles è talmente con le spalle al muro sulla questione dei profughi, che non ha avuto esitazioni a esporsi a una figuraccia macroscopica.

Un export in forte crescita
Dunque la Turchia piange miseria per aver dovuto sborsare tanti soldi per soccorrere i poveri profughi siriani, e l’Europa per solidarietà e senso di responsabilità apre i cordoni della borsa. In realtà, a parte gli aspetti politici della questione e il ruolo che la Turchia svolge nella guerra civile del paese confinante, il bilancio delle entrate e delle uscite finanziarie turche causate dalla crisi siriana non è quello che Ankara vuol far credere. E nella colonna delle entrate non vanno conteggiati solo i profitti del petrolio di contrabbando. Un recente studio del ricercatore David Butter per conto della britannica Chatham House – The Royal Institute of International Affairs, basato sui dati dell’ente statistico turco, mostra un curioso fenomeno: l’interscambio commerciale fra Siria e Turchia crolla con lo scoppio della guerra civile nella prima, e nel 2012 è ridotto a un quarto di quello che era nel 2010; successivamente però rimbalza, e mentre in Siria le devastazioni e i lutti raggiungono picchi senza precedenti, nel 2014 l’export turco verso il paese degli Assad torna ai valori del 2010: 1,8 miliardi di dollari. Invece l’export siriano verso la Turchia non ha conosciuto rimbalzi: valeva 452 milioni di dollari nel 2010, è sceso a 115 milioni nel 2014. Come si spiega il mistero? Secondo Butter il rimbalzo va interpretato «in parte come risultato della fornitura di aiuti attraverso il confine settentrionale della Siria, e in parte come risultato di nuove relazioni commerciali, incluse vendite da parte di compagnie siriane che si sono impiantate nella Turchia orientale. Un aspetto importante delle relazioni commerciali con la Turchia è stato il trasferimento di imprese siriane dall’altra parte della frontiera. Secondo fonti turche ufficiali, il 25 per cento circa delle 4.249 compagnie comprendenti soci stranieri che sono state create in Turchia nei primi undici mesi del 2014 comprendevano investitori siriani. Le imprese turche con soci siriani sono state le più numerose fra le imprese turche partecipate da stranieri anche nel 2013, ma allora rappresentavano solo il 12,6 per cento del totale. Il presidente della Camera di commercio della città portuale di Mersin, avrebbe dichiarato che il grande aumento di esportazioni dalla città verso la Siria è dovuto alla delocalizzazione di imprese siriane nell’area circostante. I dati ufficiali sugli scambi commerciali non includono i considerevoli volumi di merci di contrabbando attraverso la frontiera turca, compreso petrolio e prodotti già raffinati del valore di svariate centinaia di milioni di dollari, che hanno raggiunto il mercato turco partendo da aree sotto il controllo dell’Isis».  

Le razzie criminose Insomma, la guerra ha trasformato molte imprese siriane in imprese turche, che in Turchia hanno trasferito macchinari e capitali finanziari. Ora esportano soprattutto nei territori siriani sotto controllo ribelle e pagano le tasse all’erario turco. Quanto all’accenno all’Isis e al suo ruolo nel contrabbando di petrolio e carburanti, quello citato non è l’unico passo che chiama in causa lo Stato islamico. A un certo punto si fa notare che nel 2014 si registrò «un picco di 311 milioni di dollari di esportazioni dalla Turchia alla Siria nel mese di luglio, mentre per il resto dell’anno la media mensile sarebbe equivalsa a 135 milioni di dollari. Non è chiaro che cosa abbia causato questo picco nelle esportazioni, ma sta di fatto che esso coincise col culmine delle avanzate dell’Isis in Iraq e in Siria, e almeno una parte delle vendite addizionali potrebbe essere rappresentata da approvvigionamenti addizionali di origine turca da parte dell’Isis, per esempio tubi d’acciaio e altro materiale per progetti di raffinazione di idrocarburi».
Insieme al trasferimento delle attività industriali o commerciali dalla Siria alla Turchia, l’altro grande beneficio che l’economia turca ha avuto dalla guerra siriana è il trasferimento di capitali. Scrive Samer Abboud, docente all’Arcadia University della Pennsylvania e autore di un prezioso libro sul conflitto siriano: «Città come Reyhanli, Gaziantep e Antiochia, e le province meridionali in generale, hanno conosciuto un significativo boom economico a partire dal 2011. Le banche turche sono state inondate di denaro siriano e, secondo dati relativi all’ultima parte del 2012, le banche della provincia dell’Hatay hanno registrato un aumento dei depositi in valuta estera del 101 per cento. Aumenti simili sono stati registrati in tutte le banche della Turchia meridionale, lasciando concludere che molti dei siriani che hanno abbandonato il paese hanno portato con sé i propri risparmi e sono in grado di vivere fuori dai campi profughi. Inoltre molti industriali siriani che avevano venduto le loro proprietà nella Siria settentrionale avevano cominciato a riposizionarsi in Turchia, trasferendo i loro capitali finanziari per avviare nuove operazioni o entrare in partnership con imprenditori locali».
Fin qui abbiamo parlato di trasferimenti di attività industriali da parte dei proprietari. Ma c’è anche il capitolo delle razzie e dello smantellamento criminoso di impianti e attrezzature industriali. Nel marzo del 2013 la Federazione delle Camere dell’Industria siriane fece causa allo Stato turco presso un tribunale tedesco accusando Ankara di complicità nel saccheggio e nello smantellamento di fabbriche e imprese del distretto di Sheikh Najjar, ovvero la zona industriale di Aleppo, posta una decina di chilometri a nord-est della città. Nel luglio 2014 l’area fu riconquistata dall’esercito governativo, e nell’agosto di quest’anno un giornalista turco del quotidiano Radikal ha fatto un reportage sul posto. Da esso risulta che le fabbriche smantellate e trasferite in Turchia sarebbero state circa 300, su un totale di 963 stabilimenti tessili, alimentari, chimici, farmaceutici. Il vicepresidente della Camera dell’Industria e del Commercio di Aleppo, Bassil Joseph Nasri, informa che le imprese danneggiate hanno deciso di rivolgersi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja: «Abbiamo costituito un team speciale per seguire la denuncia. I proprietari dei beni rubati stanno cercando di rintracciarli. In molti casi i numeri di serie sono stati abrasi, ma si tratta di macchinari speciali, e non è difficile individuarli. Ci sono imprenditori che hanno localizzato i loro macchinari rubati, uno di loro è andato in Turchia e lo ha riportato indietro. Sappiamo che le attrezzature sono state vendute nelle province di Kilis, di Gazantiep e dell’Hatay. I saccheggiatori si erano fatti accompagnare da ingeneri dalla Turchia per individuare le parti più pregiate. In alcuni casi hanno asportato l’intero macchinario, in altri pezzi particolari. Stiamo individuando i ladri, e altre denunce in sede giudiziaria seguiranno».

Il traffico umano
Un altro flusso poco indagato di denaro da tasche siriane a tasche turche è quello che riguarda il traffico dei profughi verso l’Europa. Prima che la firma dell’accordo con l’Unione Europea imponesse un alt, si spera non temporaneo, al fenomeno, hanno tratto beneficio da questa attività illegale innumerevoli cittadini turchi. Racconta un reportage del New York Times da Smirne (terza città per numero di abitanti) del settembre scorso che in Turchia si è sviluppata una «economia sommersa multimilionaria» che «trae profitto dalla massiccia onda umana che corre verso l’Europa. Gran parte di questa nuova economia è visibile qui sulle strade, dove i trafficanti adescano i rifugiati, i negozi di abbigliamento espongono giubbotti e ciambelle di salvataggio, corriere e taxi trasportano passeggeri verso remote spiagge di partenza lungo la costa. Il denaro scorre attraverso Smirne, divenuta un triste snodo per gli emigranti e una città dell’oro per i residenti. Nascosta alla vista è l’estesa infrastruttura del contrabbando di esseri umani, con improvvisati “uffici assicurativi” dove viene depositato il denaro che serve al pagamento, fabbriche segrete che sfornano giubbotti di salvataggio inefficienti e fornitori clandestini di gommoni a poco prezzo che talvolta si bucano o si ribaltano durante il viaggio verso la Grecia, causando l’annegamento delle persone». Prima del recente giro di vite, le autorità apparivano coinvolte: «Qui a Smirne lo Stato sembra assistere inerte al quotidiano spettacolo di emigranti che attraversano la città e si recano sulla costa per salire sui gommoni per la Grecia. Osservatori internazionali dicono che mentre i migranti pompano denaro nell’economia ufficiale, chi realizza i guadagni più forti sono gang criminali molto organizzate che probabilmente corrompono le autorità perché guardino dall’altra parte. Gli stessi siriani e la manovalanza dei trafficanti asseriscono che le autorità vengono talvolta pagate per lasciar passare i migranti». Come titolava quel famoso film di Alberto Sordi: finché c’è guerra c’è speranza. Di fare soldi.

Foto Ansa

Rodolfo Casadei - 12 dicembre 2015
fonte: http://www.tempi.it