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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

24/05/14

«I Leoni non voteranno». Protesta del San Marco









VERSO LE EUROPEE

L’ammiraglio Nardini: «L’Ue scorda i marò. Ma ci chiede di partecipare alle missioni»

«Non andrò a votare, domani, per le Elezioni Europee. Un segno di protesta contro l’Unione che non sta facendo nulla per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da 27 mesi ingiustamente reclusi in India»: parola dell’ammiraglio Guglielmo Nardini, presidente del Gruppo Nazionale Leone di San Marco-Marina Militare. E con lui si asterranno dal voto i marinai in pensione del Gruppo.
Ammiraglio Nardini, perché questa protesta così dura?
«Non ci sono ancora evidenze concrete dell’internazionalizzazione del caso dei nostri marò né dell’arbitrato internazionale unilaterale. L’Unione Europea continua a latitare sul caso e l’Italia continua a profondere le sue migliori energie nelle missioni internazionali, esponendo i suoi figli al rischio di venire coinvolti in vicende simili a quella che stanno vivendo Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e le loro famiglie: non possiamo assolutamente accettare che si continui a temporeggiare e a sperare nella buona volontà e nella solidarietà degli altri».
Cosa chiedete?
«Vogliamo capire quali azioni reali e concrete sono state o saranno intraprese per riportare in Patria i nostri marò. È ormai più di un mese che si sente parlare di internazionalizzazione del caso dei fucilieri di marina. Quanto ancora dobbiamo attendere per pretendere il rientro dei nostri fratelli ingiustamente detenuti in India? Non sono bastati ventisette mesi di trattative per capire che ormai la vicenda è diventata intrattabile? Quindi, subito arbitrato internazionale obbligatorio, come affermato da esperti di diritto di grande rilievo, come la professoressa Angela Del Vecchio, docente alla Luiss di Roma, che, speravamo, fosse stata coinvolta nel team di studio per la risoluzione della vicenda da parte del governo. E bisogna fare presto perché questa situazione mette in pericolo tutti i militari italiani impegnati in missioni all’estero».

Lei si riferisce all’immunità funzionale?
«Sì, l’immunità funzionale è quella cosa per la quale i militari in missione internazionale non rispondono in prima persona di quello che fanno. Rappresentano lo Stato e lo Stato risponde del loro comportamento. Certo, poi le singole persone possono essere giudicate dallo Stato, ma dal loro Stato, non da altri».
Un esempio?
«Ce ne sono moltissimi. Alcuni anni fa, durante una missione in Africa, un battaglione di sikh indiani che faceva parte di una forza di pace fu accusato, perché quei militari si divertivano proprio con le ragazze che dovevano difendere. Sono stati rimandati in patria. Un altro esempio potrebbe essere quello noto del Cermis. I piloti del Prowler che tranciò il cavo della funivia, furono giudicati negli Stati Uniti».
I marò perciò rappresentano il nostro Paese?
«Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rappresentano l’Italia, sono due professionisti altamente preparati e qualificati che hanno dedicato vent’anni della loro vita alle missioni. Non è da ieri che fanno questo mestiere. Sono come la bandiera italiana, che va difesa, fino alle estreme conseguenze. Così oggi stiamo permettendo ad uno Stato straniero di giudicare la nostra Nazione, una cosa assolutamente inaccettabile».

Antonio Angeli- 24 maggio 2014
fonte: http://www.iltempo.it/politica

Matteo Renzi, Narendra Modi e i marò




Esteri



Tutti parlano di Narendra Modi. Islamabad lo invita in Pakistan per "ridefinire le relazioni tra i due paesi", e Tokyo gli chiede di considerare il Giappone per la sua prima visita ufficiale all'estero. Cosa succede? L'India ha improvvisamente ricominciato ad essere un paese che conta? Forse sì, visto che, in fin dei conti, le potenzialità per trasformarsi in una grande potenza le ha sempre avute. Non ce l'ha mai fatta per mancanza di capacità, determinazione e, soprattutto, una maggioranza politica in grado di procedere in maniera spedita. Tutti ostacoli che, nell'era Modi che si è appena aperta, potrebbero essere facilmente superati.Basta trascorrere anche solo qualche giorno in India, e non necessariamente nel Gujarat, vale a dire uno degli stati che hanno deciso di sostenere il leader nazionalista del Bharatiya Janata Party (Bjp) all'unanimità, per capire che Modi ha letteralmente conquistato il paese con il suo carisma e le sue promesse, e che persino gli stranieri, dopo averlo tenuto lontano per più di dieci anni, si aspettano moltissimo da lui.Un burocrate indiano molto vicino a Modi e allo stesso tempo con legami indiretti relativamente forti con l'Italia ha raccontato a Panorama.it che la sua nomina a Primo Ministro potrebbe stravolgere il destino dell'India sotto molti punti di vista, e che il desiderio di Modi di passare alla storia come il terzo grande leader nazionale, dopo il Mahatma Gandhi e Jawaharlal Nehru, aumentano le probabilità che ciò possa davvero succedere.Per l'Italia tutto questo cosa significa? Che un leader estremamente nazionalista e per nulla interessato ad alimentare un'immagine di se stesso debole e incline al compromesso tenterà di resistere alla riapertura del caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone?Guardando questo video , in cui Modi si scaglia contro il "trattamento di favore" concesso ai marò accusati dell'omicidio di "due pescatori che lavoravano per guadagnare il pane", sembrerebbe di sì, ma questa fonte molto vicina al neo-Premier ritiene che i toni e gli argomenti della campagna elettorale siano già stati abbandonati. Perché la retorica di cui si è servito il leader del Bjp per conquistare il paese non è utile per governarlo.Cosa vuol dire? Essenzialmente che dal giorno in cui verrà sciolta la riserva sui ministri dell'esecutivo di Modi quest'ultimo potrà finalmente sostituire all'ideologia il pragmatismo, iniziando a fare le scelte giuste per l'India.


 Questo naturalmente non significa che tra le priorità di New Delhi ci sia quella di rimandare a casa i nostri militari, ma che ci siano i presupposti per aprire una nuova fase in questo infinito negoziato sì.Se Modi vuole davvero rilanciare crescita, sviluppo e occupazione nel paese di certo non può farlo da solo. Questo significa che il leader del Bjp dovrà trovare un modo per ricostruire le sue relazioni internazionali con tantissime nazioni. L'impossibilità di fare a meno della comunità internazionale, sommata all'urgenza di scrollarsi di dosso quel che è rimasto delle umiliazioni post 2002, quando dopo le violenze religiose verificatesi in Gujarat una serie di nazioni, Stati Uniti e Inghilterra incluse, ritenendo Modi direttamente responsabile di quanto avvenuto, lo inclusero nella loro lista di personalità non grate e evitarono di intrattenere qualsiasi rapporto con lui, e alla temporanea uscita di scena degli "italiani" del Partito del Congresso, offrono all'Italia alcune nuove opportunità per quel che riguarda la gestione del caso dei Fucilieri di Marina. Il fatto che l'interlocutore del governo non sia più Sonia Gandhi permette all'Italia di confrontarsi con l'India in maniera nuova. Ancora, il fatto che entrambi i paesi siano governati oggi da un Primo Ministro diverso da quello in carica nel momento in cui è avvenuto l'incidente potrebbe aiutarli a riportare il negoziato a un livello zero e ripartire da lì."Ciò che molti sottovalutano", ha spiegato la nostra fonte, "è che Modi è più pragmatico che nazionalista, e si trova a guidare un paese che sta attraversando una fase talmente difficile da rendere necessario chiedere alla popolazione di fare grossi sacrifici per uscirne. Questo vuol dire che se l'Italia sarà in grado di offrire 'qualcosa' per la liberazione del marò Modi potrebbe anche interessarsi ala vicenda". ll vero rischio di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è infatti che il nuovo governo indiano si dimentichi di loro, e che le pressioni dell'opinione pubblica italiana costringano Modi a evitare di affrontare direttamente un problema così delicato. Lasciando quindi che siano i burocrati di Bruxelles o New York ad occuparsene, con i loro lunghissimi tempi."Modi tenderà certamente a centralizzare le decisioni", conclude la fonte, "quindi se è lui che deve decidere o anche solo dare l'input per farlo, Matteo Renzi e i suoi ministri farebbero bene ad approcciarlo direttamente, cercando di organizzare quei faccia a faccia di alto livello che con la famiglia Gandhi non sono serviti, ma che con Modi andrebbero intensificati". Per riuscirci, però, occorre che gli italiani diano un benvenuto "cortese, positivo ed entusiasta" al nuovo esecutivo di New Delhi, anche se i fedelissimi di Modi credono che sarà proprio questo il primo errore che rischiamo di commettere, nella convinzione (nemmeno così infondata) che per il rientro dei due Fucilieri il nostro paese abbia già aspettato troppo

22 maggio 2014

fonte: http://www.easyteachpoint.com

23/05/14

Anche gli storici bocciano Giorgio Napolitano: "E' la vera minaccia della democrazia italiana"






Giorgio Napolitano bocciato anche dagli storici. Nel nuovo saggio del ricercatore britannico Perry Anderson, recensito sull'ultimo numero della prestigiosa London Review of Books, è scritto senza possibilità di incomprensione che il nostro presidente della Repubblica è la vera minaccia della democrazia italiana. Visto in patria come il salvatore, "la roccia su cui fondare la nuova Repubblica", Napolitano è invece "una vera pericolosa anomalia, un politico che ha costruito tutta la carriera su un principio: stare sempre dalla parte del vincitore".
Nell saggio, dal titolo The Italian Disaster, Anderson parla appunto del disastro italiano, raccontato con la secchezza degli storici inglesi: una sequenza di fatti, date, pochi commenti e molti argomenti. La recensione, pubblicata su Dagospia, riporta la storia del nostro capo di Stato a cominciare dagli esordi: da studente aderisce al Gruppo Universitario Fascista, poi diventa comunista tutto d'un pezzo: nel 1956 plaude l'intervento sovietico in Ungheria, nel 1964 si felicita per l'espulsione di Solgenitsyn, sostenendo che "solo i folli e i faziosi possono davvero credere allo spettro dello stalinismo". Fedele alla linea del più forte, vota sì all'espulsione del Gruppo del Manifesto per i fatti di Cecoslovacchia e negli anni Settanta diventa "il comunista favorito di Kissinger", perché il nuovo potere da coltivare sono ora gli Stati Uniti.
Anderson sottolinea che "gli Usa e Craxi sono i nuovi fari di Napolitano e dei miglioristi (la corrente era finanziata con i soldi della Fininvest) e nel 1996 il nostro diventa ministro degli Interni (per la prima volta uno di sinistra), garantendo agli avversari che 'non avrebbe tirato fuori scheletri dall'armadio'". Ma il meglio Napolitano, secondo lo storico britannico, lo dà da presidente della Repubblica: "Nel 2008 firma del lodo Alfano, che 'garantisce a Berlusconi come primo ministro e a lui stesso come presidente l'immunità giudiziaria', dichiarato poi incostituzionale e trasformato nel 2010 nel 'legittimo impedimento', anch'esso dichiarato incostituzionale nel 2011".
E poi una gragnuola di fatti: il mancato scioglimento delle Camere nel 2008, l'entrata in guerra contro la Libia del 2011 (scavalcando costituzione, senza voto parlamentare, violando un trattato di non aggressione), le trame con Monti e Passera per sostituire Berlusconi, modo - secondo Anderson - "completamente incostituzionale". Per non parlare della vicenda della ri-elezione al secondo mandato ("a 87 anni, battuto solo da Mugabe, Peres e dal moribondo re saudita") e delle ultime vicende, con il siluramento del governo Letta. Napolitano, che dovrebbe essere "il guardiano imparziale dell'ordine parlamentare e non interferire con le sue decisione", scrive lo storico britannico, rompe ogni regola. "La corruzione negli affari, nella burocrazia e nella politica tipiche dell'Italia sono adesso aggravate dalla corruzione costituzionale". E poi il caso Mancino e la richiesta di impeachment contro il presidente da parte di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, e l'invocazione della totale immunità nella trattativa Stato-mafia, che Anderson definisce "Nixon-style", termine che evoca scandali come il Watergate. "Ma gli esiti italiani sono stati diversi, come ben sappiamo", fa notare lo storico.

il saggio di Anderson - 23 maggio 2014
fonte: http://www.liberoquotidiano.it 

SCENARI/ India, un voto che "taglia fuori" l'Italia



 




 
Ancora sono fresche le immagini del grande accordo strategico-commerciale-finanziario tra i presidenti della Russia, Vladimir Putin, e della Cina, Xi Jinping, al quale ha anche assistito - in un incontro economico parallelo - il presidente iraniano Hassan Rouhani. Il mondo sarà presto sorpreso da un altro grande evento asiatico. Il primo ministro del Pakistan, Mian Nawaz Sharif, parteciperà alle cerimonie di insediamento del nuovo primo ministro dell’India, Narendra Modi. Il tempo è maturo per un incontro bilaterale e per un invito di Modi a visitare il Pakistan.
Sia Modi che Sharif devono tenere a bada le frange estremiste, non solo islamiche, che avrebbero interesse a perpetuare lo statu quo. È quindi interesse di entrambi i leader di poter mostrare concreti risultati economici alle popolazioni. Un punto sul quale convergeranno gli interessi sarà di rilanciare il dialogo perché tutti siano “stakeholders” del grande gasdotto Iran-Pakistan-India. Modi sa bene che per realizzare questo risultato ha bisogno del sostegno della Russia, e Sharif sa bene che ha bisogno del sostegno della Cina.
La Russia, la Cina e l’India guardano avanti, verso un mondo diverso e più “uguale” o se si preferisce con meno “ineguaglianze”. Infatti, sul britannico The Guardian, il famoso storico inglese Timothy Garton Ash ha pubblicato un articolo dal titolo “Putin ha più ammiratori di quanto possa pensare l’Occidente”.
Mentre l’Occidente si contorce attorno alle sue crisi di potenza e al declino del suo sistema democratico parlamentare, sorge l’avvenire in Asia, anzi nella grande massa dell’Eurasia purtroppo orfana di un’indecisa e reazionaria Europa. Eppure, pochi mesi fa il presidente cinese Xi, in visita a Bruxelles, aveva invitato quei poveretti che rappresentano le istituzioni europee a considerare un grande accordo di libero scambio tra la Cina e l’Ue. I poveretti hanno solo saputo balbettare che “non è ancora venuto il momento”. E adesso il gioco è fatto: Adieu Europe!
Dicevamo dell’India - venuta agli onori delle cronache italiane solo per le idiozie nella gestione del “caso marò” - dove si sono appena concluse le più importanti elezioni parlamentari dai tempi dell’indipendenza. La vecchia casta di potere politico-militare e la pratica di governi di coalizione instauratasi con le dinastie Nehru e Ghandi è finita. L’India ha eletto a larghissima maggioranza Narendra Modi, leader del Bharatiya Janata Party (Bjp), che cambierà strategia e direzione al subcontinente indiano, popolato da circa un miliardo di persone.
Sul rilancio dell’economia indiana si sono giocate le elezioni. Modi ha promesso una crescita a due cifre! Si vedrà se le sue scelte saranno più simili ad un tatcherismo in salsa indiana oppure a una politica più aggressiva di espansione monetaria sullo stile del nipponico Shinzo Abe. Alcuni osservatori descrivono Modi come un mix di gaullismo e conservatismo sociale capace di riallineare la frastagliata democrazia indiana attorno a un unico grande progetto nazionale.

 
Di Paolo Raffone - 

22/05/14

Basta con gli spot televisivi della Rai a favore dell'Unione Europea


Basta con gli spot televisivi della Rai a favore dell'Unione Europea

Basta con gli spot televisivi della Rai a favore dell'Unione Europea


    1.  
    2. Lanciata da
La televisione pubblica è finanziata con il canone dei cittadini italiani. Noi,in quanto cittadini italiani chiediamo che la televisione pubblica di stato NON mandi in onda dei veri e propri spot elettorali in favore dell’Unione Europea e delle politiche perseguite da quest’ultima. Tutti noi cittadini abbiamo opinioni che possono essere favorevoli o contrarie alle politiche europee, pertanto pensiamo che non sia giusto che la televisione di stato prenda posizione in maniera così evidente e schierata in favore dell’Unione Europea, venendo meno al principio di imparzialità e terzietà che dovrebbe contraddistinguere la RAI e non rispettando le opinioni di quei cittadini che pensano che le istituzioni europee siano piuttosto distanti dall’immagine che gli spot della RAI danno. Chiediamo l’immediata cessazione di questi spot propagandistici e provvedimenti sanzionatori da parte dell’Agcom nei confronti della Rai che ha violato i suddetti principi.
A:
RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A.
AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI
Consiglio Nazionale degli Utenti
Aiart - Associazione Spettatori 
Basta con gli spot televisivi della Rai a favore dell'Unione Europea
Cordiali saluti,
[Il tuo nome]
 firma la petizione http://www.change.org/it/petizioni/rai-radiotelevisione-italiana-s-p-a-basta-con-gli-spot-televisivi-della-rai-a-favore-dell-unione-europea?share_id=bgoobheEed&utm_campaign=friend_inviter_chat&utm_medium=facebook&utm_source=share_petition&utm_term=permissions_dialog_true

21/05/14

Svolta egiziana per la Libia?


 


Da venerdì si combatte a Bengasi e a Tripoli, con l’impiego di blindati, aerei ed elicotteri. Nel capoluogo della Cirenaica le forze militari del generale Khalifa Haftar sono impegnate contro le milizie islamiste dei qaedisti di Ansar al-Sharia. A Tripoli i golpisti sono rappresentati dalla milizia di Zintan (considerata la meglio armata e addestrata tra le tante milizie tribali libiche) guidata dal colonnelllo Mokhtar Fernana, che ha “ufficializzato” il collegamento con Haftar annunciando “la sospensione del Congresso nazionale generale” (il Parlamento) e di tutte le istituzioni. Un’iniziativa preannunciata il giorno prima dal generale Hatfar, che si era visto accusare dalle autorità di Tripoli di voler attuare un colpo di stato. Il filo diretto tra i combattenti laici in Tripolitania e Cirenaica è apparso così più che evidente e il governo libico ne ha dovuto prendere atto. Dopo aver negato problemi fino al primo pomeriggio di ieri (“è tutto sotto controllo”) in serata ha disposto la sospensione del Parlamento e di qualunque sua attività fino a nuove elezioni, compresa quella di un nuovo premier.


L’ultimo premier insediatosi a Tripoli, l’imprenditore miliardario Ahmed Miitig improvvisamente entrato in politica lo scorso 4 maggio con l’appoggio dei Fratelli Musulmani e altri fondamentalisti islamici, non è riuscito a portare alcuna soluzione alla crisi accentuando al contrario i contrasti tra islamisti e laici. Del resto la nomina di Mitiig con una votazione quasi clandestina al Parlamento e con un numero di consensi inferiore a quello richiesto dal regolamento aveva indotto molti a gridare al “golpe” orchestrato dai Fratelli Musulmani del partito “Giustizia e Costruzione” ben determinati a prendere il controllo del Paese conquistando alla loro causa molti deputati eletti come indipendenti. La nomina di MItiig ha fatto perdere ogni credibilità residua alla classe politica almeno agli occhi dei militari. Non a caso poco dopo il comunicato governativo un altro comandante militare, Wanis Abu Khamada, capo delle forze speciali libiche, ha dichiarato che gli uomini della sua unità sono “pronti a combattere contro il terrorismo” e ad affiancare soldati e ufficiali già schierati con Haftar al quale hanno portato in dotazione aerei, elicotteri e pezzi d’artiglieria pesante. Due basi aeree, Tobruk e Benina (Bengasi), erano passate nella notte con il generale.


La comunità internazionale per ora tace, forse aspettando gli eventi o in attesa di capire quali schieramenti si muovano oggi nella crisi libica. Hatfar ha vissuto molti anni negli Stati Uniti e alcuni lo considerano al soldo della CIA. Certo dalla sua parte sembra schierato l’Egitto del generale al-Sisi prossimo presidente che da tempo vuole spazzare via gli islamisti dalla confinante Cirenaica. Facile immaginare anche il supporto algerino alle milizie di Zintan e alla sollevazione militare non solo per le affinità con il governo di Algeri (i militari sono il baluardo della laicità delle istituzioni) ma anche perché l’anarchia libica ha consentito ampi collegamenti tra i qaedisti libici e quelli attivi in Algeria nell’ambito del movimento al-Qaeda nel Maghreb Islamico. Bisogna poi comprendere se il Qatar continuerà a sostenere i Fratelli Musulmani libici anche dopo la dura crisi diplomatica dei mesi scorsi che l’ha opposto ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che nel caso di ingerenza di Doha sono pronti a sostenere (se non lo stanno già facendo) il generale Hatfar così come hanno sostenuto al-Sisi in Egitto.



In Libia tira quindi aria di restaurazione con un regime di tipo militare che “protegga la democrazia” da derive islamiste? Presto per dirlo perché se l’obiettivo del pronunciamento militare è chiaro non è altrettanto certo che la guerra possa essere vinta in breve tempo. Qaedisti e fratelli Musulmani potrebbero saldarsi per opporre una resistenza che troverebbe supporto nelle rivalità tribali, ad esempio a Misurata le cui milizie sono da sempre rivali di quelle di Zintan. Senza contare le difficoltà di controllo del territorio specie nel Fezzan, la vasta regione desertica meridionale.
Il silenzio di Washington, Londra e Parigi potrebbe indicare un ruolo di questi Paesi negli sviluppi recenti in Libia così come le dichiarazioni di Matteo Renzi sembrano testimoniare come l’Italia sia stata colta ancora una volta di sorpresa dagli eventi in atto nella ex colonia.
“La Libia è una priorità assoluta ma la vicenda si risolve solo per via internazionale, nessun Paese da solo può pensare di risolvere una situazione così drammatica” ha detto ieri auspicando ancora una volta il coinvolgimento dell’Onu e dell’Ue.  E poi ha espresso la consueta “profonda preoccupazione”, appelli “a tutte le parti a fermare il bagno di sangue e a evitare ulteriori violenze” e “a lavorare insieme” per “una democrazia stabile”.



Insomma, la solita aria fritta che cerca di nascondere l’assoluta mancanza (anche in questo governo) di una politica estera persino nei confronti di un Pese così vicino e dal peso così strategico in termini energetici, di coinvolgimento delle nostre aziende e di esposizione all’immigrazione clandestina. Come nel febbraio 2011, quando col supporto diretto di “consulenti” di Qatar, Francia e Gran Bretagna, prese il via a Bengasi la “rivoluzione” contro il regime di Muammar Gheddafi, anche di fronte al “pronunciamiento” militare del generale Hatfar a Roma sembrano cadere dalle nuvole. Washington invece segue “minuto per minuto” l’evolversi della situazione “estremente fluida” in Libia. Non solo.
Nell’eventualità di dover ordinare un’evacuazione d’emergenza degli americani nel Paese ha inviato altri 4 aerei da trasporto militari V-22 Osprey nella base siciliana di Sigonella (a 530 chilometri da Tripoli) dove da mesi ne stazionano altri 4 con 200 marines. E’ quanto riferisce la Cnn citando fonti del Pentagono. I Bell-Boeing V-22 Osprey (convertiplani, velivoli che decollano come elicotteri e poi effettuano una transizione dei due motori ad elica per volare come aerei con una velocità massima di 510 km/h con un’autonomia di 1.650 km) possono trasportare fino 24 passeggeri e possono decollare con un preavviso di 6 ore. In totale la flotta di Osprey con i marines di scorta sarà in grado di evacuare oltre 200 persone dall’ambasciata americana a Tripoli.



I duecento marines inviati dalla base Usa di Moron, in Spagna, sono a Sigonella “a causa della situazione di instabilità in Nordafrica” e “sono addestrati per rispondere a ogni tipo di crisi” che metta a rischio gli interessi degli Stati Uniti. Lo ha detto ieri  all’Adnkronos l’addetto stampa della base militare, il tenente Usa Paul Newell. In relazione alle notizie che giungono dalla Libia, Newell spiega di non poter fornire indicazioni “specifiche” sulla situazione nel Paese ma l’area di “instabilita’” per la quale e’ stato deciso l’invio del contingente di Marines nella base siciliana, sottolinea Newell, riguarda tutto il “Nordafrica”.
Stessa risposta da Alberto Lunetta, il vice di Newell nella Stazione Aeronavale della US Navy di Sigonella. “Al momento nessuna novità” in relazione alle notizie di scontri armati che giungono dalla Libia, spiega. “Li posizioniamo in modo più avanzato a Sigonella, in modo che possano rispondere piu’ velocemente ad ogni crisi”, aveva detto nei giorni scorsi il portavoce del Pentagno, Steve Warren, annunciando il trasferimento dei marines dalla base spagnola dove è stato istituito il quartier generale Marine Air-Ground Task Force Crisis Response.Questa è l’unità di intervento rapido creata dopo l’attacco al consolato di Bengasi, quando, l’11 settembre del 2012, l’ambasciatore Christopher Stevens ed altri 3 americani furono uccisi prima che riuscissero ad arrivare i marines. Il trasferimento è stato richiesto dal dipartimento di Stato, aveva confermato Warren, pur senza precisare se esistono minacce specifiche contro interessi Usa.



Anche se al momento non vi sarebbero piani imminenti di un’evacuazione dell’ambasciata di Tripoli è evidente che il Dipartimento di Stato non può permettersi di esporsi ad un possibile nuovo, tragico, errore di valutazione dei rischi per la sicurezza di cittadini ed interessi americani nel paese nordafricano. Soprattutto in questo momento in cui i repubblicani appaiono intenzionati a rilanciare la mai sopita polemica sui tragici fatti di Bengasi avviando l’ennesima indagine al Congresso, che ne ha condotte in questi due anni altre sette. Ancora una volta saranno lanciate accuse all’amministrazione, ed in particolare all’allora segretario di Stato, Hillary Clinton – ora probabile candidata alla Casa Bianca – di non aver adeguatamente protetto prima i diplomatici americani e poi di aver cercato di ingannare il paese sulla natura dell’attacco. democratici da giorni denunciano il fine prettamente elettorale, a pochi mesi dalle elezioni di mid term e già in vista della battaglia per la Casa Bianca, di questa nuova inchiesta, e alcuni di loro vorrebbero addirittura boicottare i lavori della commissione.



La concomitanza dell’avvio della nuova inchiesta con il precipitare della situazione di instabilita’ politica, e quindi di sicurezza, a Tripoli ha fatto tornare di attualità a Washington la situazione della Libia, ed anche le critiche alla gestione dell’intervento e soprattutto del post intervento libico. Secondo il quotidiano la Casa Bianca e la Nato “hanno la responsabilità del disastro in Libia, perché sono intervenuti per aiutare i ribelli a rovesciare Gheddafi e poi sono ne usciti rapidamente senza fare un serio sforzo di aiutare i libici a ristabilire la sicurezza e costruire un nuovo ordine politico” scriveva nei giorni scorsi il Washington Post, stigmatizzando sia l’amministrazione Usa che gli alleati europei per quella che veniva definita “l’azione raffazzonata” in Libia.
“Il Congresso dovrebbe indagare sul perché l’amministrazione ha permesso che un Paese in cui aveva avviato un’operazione militare scivolasse nel caos” invece di “continuare a cercare lo scandalo su Bengasi” a scopi elettorali, concludeva l’editoriale che non ha risparmiato critiche neppure ai repubblicani.

con fonti Ansa e Adnkronos
Foto: faisalalshrafi, Reuters, AFP, AP, stripe

di Gianandrea Gaiani -20 maggio 2014

fonte: http://www.analisidifesa.it

20/05/14

LA MADRE DI TUTTE LE NOSTRE TRAGEDIE SI CHIAMA “TTIP”.






  
 LA MADRE DI TUTTE LE NOSTRE TRAGEDIE SI CHIAMA “TTIP”.

Mentre i nostri piccoli politicanti s’azzuffano per il “potere”, parola che a loro avviso significa solo denaro e privilegi non s’avvedono d’essere privi di ogni visione o previsione politica nazionale ed internazionale. Il Popolo italiano (per fortuna una minoranza di esso!) a causa della sua conclamata dabbenaggine e credulità nei Partiti Egemoni merita di subire i finali danni che più avanti esporremo; come se di fatto, non ne abbia già subito parecchi nel recente passato. Questa nostra gente affezionata alle etichette populistiche, clamorose e bugiarde ha creduto e ancor crede ( nonostante tutto!) in una Europa inesistente, raffazzonata e tenuta in vita solo per interessi partigiani finanziari, complicati da teorie di conquista pangermaniche hitleriane ancora vive e complici sia di piccole esaltazioni dell’esprit de grandeur socialista francese che di più voraci appettiti economici anglo-americani. Per nostra fortuna questi zombies partitici non hanno un fronte comune e sono divisi in rivoli di per sé minoritari o comunque leggermente maggioritari solo se assommati tra loro rispetto alla massa dei dissidenti e sfiduciati, desunta dalla astensione dal voto ( si parla del 48% degli aventi diritto). Il credo di tale gente è in genere strettamente riposto su riflessioni distorte di un vecchio comunista europeista sostenuto da una massa eterogenea partitica di rifiuti della prima repubblica sbarcati, poi, in un partito adattato alla bisogna, tormentato, trasformato più volte, e mancante di una reale consistenza ideologica comune. Ideologia che per necessità d’ essere “pianeta e non astro” si nutre di un “riformismo liberale socialistoide ed europeistico”. Quindi se l’Europa è il BENE anche il PD rappresenta il BENE, ma se l’Europa è il MALE (come in realtà è!) ne conseguono per il PD gravissime responsabilità gestionali politiche e falimentari della nostra Nazione. In effetti questo partito, abbindolato dalla formazione europea di un gruppo politico misto noto come “Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici” ( in acronimo S&D) ha spinto la politica nazionale verso diverse iniziative “antinazionali” come la perdita di molte prerogative di sovranità e l’ingresso all’ultimo posto in classica nell’euro. A tal proposito non possiamo non ricordare le parole del signor Prodi responsabile di questo ingresso: “ entrando nell’euro lavoreremo TUTTI un giorno in meno e guadagneremo il doppio”. Nei fatti si è invece verificato che molta parte di quei “TUTTI” è oggi disoccupata o esodata e vorrebbe almeno lavorare quel famoso giorno in meno, mentre a proposito del guadagno non c’è più o si è ridotto a ricatti del tipo contratti COCOCO e altre cretinate. Con l’entrata nell’Euro e con la guida di un siffatto e suddetto partito di massa rilevante (S&D) ma di scarsissima rappresentatività umana ( vedi il signor Schulz della vignetta!) la nostra Nazione è stata completamente devastata. In Italia ormai si gioca con l’avverbio “NON” : gli italiani NON hanno deciso di far partte dell’Europa; gli italiani NON hanno deciiso di adottare l’euro; gli italiani NON hanno da più tempo un governo popolare ma tecnico imposto; gli italiani NON hanno Parlamento e Sanato legittimi, gli italiani NON hanno un Presidente della Repubblica al di sopra delle parti (E’ mai stata convocata una rappresentanza di antieuropeisti?), gli italiani invece hanno saputo che Berlusconi “NON poteva non sapere” mentre al contrario hanno saputo che il Napolitano “ poteva non sapere”. A CHE GIOCO SI GIOCA? : AL GIOCO “DEL NON QUANDO TI PARE”
E dopo le varie porcherie europee di trattati miserabili e antidemocratici ora all’orizzonte si profila il danno più grande che si possa immaginare, la vera “apocalisse” senza ritorno. APOCALISSE chiamata “TTIP”.
Di che si tratta? Perché i giornali prezzolati e di regime non ne parlano? Perché nei salotti buoni della TV di Stato ( Porta a Porta, ½ orina, Ballarò ed altri accidenti!) non si invitano le parti (europei ed antieuropei) per un confronto ideale e chiarificatore : forse fanno bene! Mettersi a discutere con i “cretini” non conviene quasi mai, perché i cretini prima ti portano al loro livello spesso alzando la voce e interloquendo in sovrapposizione vocale e poi alla fine ti “battono” con la loro esperienza di falsità.
Il TIIP è un trattato internazionale UE-USA con il quale si vuole unificare tutto : lavoro, salute, cibo, sicurezza, energia. In poche parole siamo completamente rovinati. L’iniziativa parte da potentissime lobby internazionali ( dei tipo Business Europe e Trans-Atlantic Business Dialogue) che ormai dettano le loro condizioni sia alle Autorità di Bruxelles ( dalle quali gli europeisti italiani dipendono ciecamente) e sia alle Autorità di Washinton. Queste lobby contano di perfezionare tutti gli accordi in un paio di anni, ma ciò che è grave di trasformare questi accordi in Leggi comuni ai singoli Stati: “ergo”? FINE DELLA DEMOCRAZIA COME NOI SIAMO ABITUATI A CONOSCERLA. Infatti da quel momento in poi nessuna Autorità statale ( votarle non servirà più a nulla!) potrà opporsi ai diktat di questa o quella lobby, anzi certamente sarà previsto un sistema sanzionatorio salatissimo verso lo Stato inadempiente. Vi immaginate quante diatribe, cause e sanzioni verranno fuori appena ci fosse un decremento dei guadagni di questi mafiosi internazionali? Non manca molto alla realizzazione di questa aberrazione umana. Già il fatto che abbiamo un ministro dell’economia dal nome Padoan ( imposto al guascone fiorentino di turno!) la dice lunga. Tale personaggio era uno dei responsabili del vecchio progetto detto MAI ( ACCORDO MULTILATERALE SUGLI INVESTIMENTI) NEGOZIATO IN GRANDE SEGRETO TRA IL 1995 E IL 1997 DA DIVERSI STATI MEMBRI DI QUELLA ORGANIZZAZIONE MANIGOLDA CHE CORRISPONDE AL NOME DI OCSE.
Insomma a dir che siamo vicini a guai finali e seri è dir poco. Il resto ( elezioni europee, elezioni varie ed altre minchionate cosiddette democratiche (che servono e serviranno solo per spillare quattrini alla gente già povera!) sono “fumo , apparenza, gioco al massacro inutile”.
AMICI DELLA PENNA RESTIAMO IN CAMPANA. QUESTO ARGOMENTO DEL TTIP E’ MOLTO PIU’ SERIO DI QUANTO SI POSSA SUPPORRE. VI RACCOMANDIAMO DI CERCARE NOTIZIE IN TUTTI I POSSIBILI SITI DEL WEB. COMUNICATELE COL GRUPPO. E’ INTERESSE DI TUTTI ESSERE, IN QUESTO MOMENTO TRAGICO, UNITI E DISPONIBILI ALLA LOTTA COME GIA’ STA AVVENENDO IN DIVERSE NAZIONI EUROPEE.


di Luigi Morandini & Augusto Monda - 18 maggio 2014

fonte: http://www.agoranewsonline.com

La Libia esplode gli Usa scappano Potere ai militari

Non è ancora una vera e propria fuga ma gli somiglia di vicino. Gli Stati Uniti raddoppiano gli aerei nella loro base italiana di Sigonella, pronti a decollare verso Tripoli per raccogliere lo staff dell’ambasciata nel caso in cui servisse l’evacuazione. La situazione nel Paese resta caotica
L’esercito americano ha raddoppiato il numero di aerei nella loro base italiana di Sigonella, in Sicilia, pronti a decollare verso Tripoli a raccogliere muoversi lo staff dell’ambasciata se si rendesse necessaria l’evacuazione. Lo riferisce la Cnn nel reportage sul deterioramento delle condizioni di sicurezza in Libia. Quattro aerei convertiplano Osprey in grado di atterrare verticalmente con 24 passeggeri a bordo giunti nella base di Sigonella con 200 marines a garantire la sicurezza armata. L’ambasciata di Roma avverte agli italiani, li sollecita: «Valutate l’opportunità di lasciare il paese».

Usa V-22_main_engine_closeup a terra

Si fanno sempre più foschi i contorni della crisi libica. Ieri sera, al termine di una riunione di gabinetto convocata d’urgenza, il governo ha disposto la sospensione di ogni attività del Congresso Nazionale Generale, il parlamento libico, sino a nuove elezioni. L’esecutivo ha deciso l’ennesima road map che dovrà portare il Paese al voto per il rinnovo del parlamento. In un solo colpo vengono indette elezioni anticipate non oltre il 15 agosto,viene messo alla porta il nuovo premier Ahmed Maetiq, che il 5 maggio era stato nominato col sostegno dell’ala libica dei Fratelli Musulmani.

Cosa sta accadendo nel Paese del dopo Gheddafi? Spunta Haftar, il generale deposto che dice di voler salvare la Libia. L’ex generale Khalifa Haftar che venerdì ha sferrato un’offensiva contro gruppi islamisti a Bengasi. Un’operazione militare battezzata da Haftar «Dignità» per “ripulire” la seconda città libica dai terroristi, che ha causato almeno 79 morti e 140 feriti. Nonostante il governo abbia bollato l’operazione come un colpo di stato, il generale si è detto determinato a continuare. Poi i carri armati per le strade di Tripoli e le sparatorie attorno al Parlamento. Scenario inquieto.

Una Libia sempre più in divisa militare, quella che si prospetta, con uomo ombra: l’ex premier Al Thinni. Al momento ogni decisione che dovrà essere messa in atto dal comandante in capo delle forze armate libiche Nuri Abu Sahmain, e dal capo di stato maggiore Abdussalam Jadallah Obeidi. E questo spiega in parte il mistero del generale Khalifa Haftar, che il 16 maggio con le sue truppe del Libyan National Army aveva accerchiato il parlamento di Tripoli e sferrato una serie di attacchi a Bengasi contro non meglio specificati ‘gruppi di terroristi islamici’. Per lui un ruolo decisivo.

Il generale Khalifa Haftar
Il generale Khalifa Haftar

Con la decisione di cancellare di fatto il Parlamento di nominati, l’ex premier Al Thinni ha messo nelle mani di Khalifa Haftar il destino della Libia. Con un potere personale che si sta ampliando. Sempre ieri sera ha ottenuto l’appoggio di un altro pezzo dell’esercito regolare, le forze speciali di libiche guidate Wanis Bukhamada. Questi, stando a quanto riferito dall’agenzia Ansa, avrebbe già messo a sua disposizione aerei, elicotteri e pezzi d’artiglieria pesante, che vanno ad aggiungersi alle basi aeree di Tobruk e Benina, a Bengasi, che nella notte erano passate sotto il comando di Haftar.

fonte: http://www.remocontro.it di Ennio Remondino - 20 maggio 2014

19/05/14

Caso marò/ La svolta dell’India è un boomerang





Com’era scontato in India ha vinto Narendra Modi. E ora il tentativo di riportare a casa Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, i due marò bloccati in India da 27 mesi, minaccia di trasformarsi in una missione impossibile.
Ma il ministro degli esteri Federica Mogherini e il governo Renzi non sembrano preoccupati. A dar retta a loro la vittoria del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indù, è quasi un non evento. Strano perché per tutta la campagna elettorale il 63enne prossimo premier Narendra Modi non ha mai rinunciato alle tirate sui marò accusando Sonia Gandhi e il Partito del Congresso di aver tentato di rimandare a casa Girone e Latorre.
Tirate puntualmente concluse dalla promessa di rispedirli in galera. Ovviamente per una Farnesina e un governo, decisi a minimizzare, quelli di Modi erano solo slogan. Peccato che a pronunciarli non fosse un moderato trascinato dalla foga elettorale, ma un convinto nazionalista cresciuto e formatosi tra le fila dell’organizzazione paramilitare del partito nazionalista indù. Un nazionalista accusato di aver istigato i terribili pogrom anti islamici del Gujarat, lo stato occidentale governato da Modi per oltre dieci anni, dove nel 2002 la polizia non mosse un dito per evitare il massacro di un migliaio di musulmani. Ma neppure quel precedente ha mai turbato il nostro governo. Mentre Modi prometteva di rispedire in galera i marò Federica Mogherini rispondeva annunciando un cambio di strategia sul fronte indiano e promettendo l’avvio di un arbitrato internazionale. Il cambio di strategia, deciso senza prima valutare, come sarebbe stato logico, la posizione del nuovo governo indiano rischia di rendere ancor più intrattabile Modi e i suoi.
Per consentire l’avvio di un arbitrato internazionale, affidando la questione marò alle Nazioni Unite o alla Corte Internazionale dell’Aja non basta, infatti la parola della Mogherini o di Renzi, ma serve il sì di Modi e dei suoi ministri. Il nuovo governo indiano dovrebbe dunque disconoscere o bloccare il tribunale speciale, pronto ad esaminare il caso dal 31 giugno, e subito dopo concordare con l’Italia l’«arbitro internazionale» a cui rimandare il giudizio sulla morte di due pescatori indiani e sull’immunità funzionale dei nostri militari. Modi e i suoi dovrebbero, insomma, rimangiarsi le promesse e rinnegare il fiero patriottismo indù per sottomettersi alle decisioni di un’istituzione internazionale. Certo illudersi non costa nulla. Come non costa nulla sperare nell’aiuto di quell’amministrazione statunitense con cui la Mogherina cerca di flirtare appuntandosi sul petto le spillette con la scritta «democrat» prima degli incontri con il segretario di stato John Kerry. Una cortigianeria tanto maldestra quanto inopportuna.
Neppure Kerry e compagnia hanno infatti mai ottenuto molto nei bracci di ferro con gli indiani. E a dimostrarlo c’è la vicenda di quella vice console indiana arrestata a dicembre a New York per violazione delle leggi sull’immigrazione, ma rispedita a casa dopo l’arresto per rappresaglia di un diplomatico americano a Nuova Delhi. Senza dimenticare che i «democrat» Kerry e Obama saranno i primi a scordarsi della Mogherini e dell’Italia qualora i rapporti con Modi diventassero fondamentali per evitare uno scontro nucleare con il Pakistan, garantire la stabilità del subcontinente indiano e riavviare gli accordi commerciali. E cosi l’arbitrato internazionale, vendutoci come magica soluzione del problema marò rischia, più tristemente, di rivelarsi solo il nuovo capitolo di una storia senza fine.

di Gian Micalessini
Il Giornale, 18 maggio 2014

fonte:  http://www.destra.it