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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

03/05/14

Nazioni SENZA ricchezze e ricchezze SENZA Nazioni !






Majolino_PaoloPaolo Majolino

Ho già denunciato l’anno scorso, con un dettagliato articolo, questa ennesima mossa per ridurci ad essere sempre più poveri ed indifesi.
Se la politica è prona ai poteri economici, chiedo ed invito la MAGISTRATURA: unico baluardo rimasto al Popolo, ad attivarsi acchè sia fatto tutto il possibile per evitare questo inimagginabile pessimo futuro.
Buona Stella a Tutti i Magistrati!
Da “Realeinformazione”
SAPETE CHE COS’ E’ IL “TTIP” ?? E’ il “THE TRANSATLANTIC TRADE & INVESTMENT PARTNERSHIP”  ENTRERÀ IN PIENO VIGORE ENTRO IL 2016 IN TUTTI GLI STATI CHE FANNO PARTE DI QUESTI ACCORDI PER LA GLOBALIZZAZIONE E CHE I NOSTRI POLITICI SEGRETAMENTE HANNO FIRMATO, DECAPITANDO LA VITA DEGLI IGNARI CITTADINI…INFATTI: CHIUNQUE E QUALUNQUE ORGANIZZAZZIONE DI CITTADINI PROVI A FERMARE L OPERATO DI QUALSIASI MULTINAZIONALE PER DANNO AMBIENTALE, EPIDEMIE COLPOSA, DANNI ALIMENTARI, PAGHERANNO DI TASCA LORO QUESTE ULTIME, PERCHÉ ABBIAMO NOI CITTADINI, CREATO INGENTI DANNI AI LORO PROFITTI.. PRATICAMENTE GIOCANO CON LE NOSTRE VITE E NON LO SAPPIAMO !!

Aprite il link

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FONTE: “Realeinformazione” / http://www.lanuovaitalia.eu

02/05/14

Rivelazioni: dopo le europee il diluvio !






Mi riferisco esclusivamente all’Italia. Un caso ha voluto che il sottoscritto abbia potuto accedere a “notizie riservate” che riguardano la reale situazione italiana, il rapporto fra il governucolo Renzi e la scadenza elettorale europide, ciò che accadrà al paese dopo questo appuntamento. Non posso e non voglio rivelare la mia fonte d’informazione. Non lo farò mai, neppure se mi arresteranno e mi metteranno sotto tortura. Quel che posso anticipare è che si tratta di “notizie riservate” di larga massima, ma sufficienti per rivelare i contorni di un vero e proprio piano, ordito per l’Italia … anzi, contro il nostro paese. L’attore sub-politico principale, qui, in loco, è il pd. Il pd da considerarsi nel suo complesso, senza distinzioni di corrente, quale forza collaborazionista ed euroserva organizzata. Matteo Renzi non è “colui che cambia le cose”, come alcuni credono, ma è solo l’ultima espressione mediatico-propagandistica del pd. Di tutto il pd. Chi tira i fili sta ovviamente fuori dalla penisola, molto sopra la dimensione nazionale.
Dunque … le informazioni che ho ricevuto provengono dal “ventre della balena”, o meglio, di quella disgustosa balenottera chiamata pd. Nonostante la sostanziale compattezza del partito euroservo, neoliberale e americanista, è evidente che non tutto può filar liscio al suo interno, e che gli odi reciproci, le vendette, le imboscate, le fronde di burocrati scontenti non cessano dietro le quinte. E’ così che si producono le “fughe di notizie”, provenienti da fonti bene informate.
A. Prima informazione, che ci chiarisce con chi e con cosa abbiamo a che fare, a che razza di sub-potere siamo sottoposti. Non c’è alcun dubbio che Il pd opera costantemente, sotto vari mascheramenti di corrente e sotto vari nomi (renziani, bersaniani, lettiani, cuperliani, civatiani), contro il popolo e il paese. Fin dall’inizio ho avuto ben chiaro che l’”operazione Renzi” mal celava una natura squisitamente mediatico-elettoralistica, nonché lo scopo di trattenere consenso, a livello di massa, evitando di scoprire le carte e rinviando tutto a dopo le europee. Infatti, la mia fonte conferma in pieno questo sospetto, che per me era già diventato certezza. La legislatura deve – ripeto, deve – restare in piedi fino a scadenza naturale, cioè fino al 2018, o mal che vada ancora un paio d’anni (seconda metà del 2016, inizi 2017). Questo per consentire di “fare le riforme”, di avviare e di applicare fino alle estreme conseguenze l’arcinoto fiscal compact (per noi, legge del 24 dicembre 2012, n. 243), il mes (meccanismo di stabilità, a tutto favore delle banche dei paesi europei più forti) e il cosiddetto erp (european redemption fund, sulle garanzie per le “eccedenze del debito pubblico”) che è minacciosamente in arrivo. Inoltre, il risultato del pd alle europee non può essere troppo basso, perché si deve mostrare che il consenso popolare alle controriforme neoliberiste e all’eurounionismo c’è. Ecco il perché del successo di Matteo Renzi, almeno fin che dura.
Nella realtà, Renzi non è il frutto di una rivoluzione generazionale e/o riformista, ma il suo esatto contrario. Egli è l’immagine scelta dalla burocrazia politica piddina – che è molto più compatta di ciò che appare, su certe questioni di fondo – per raggiungere due importanti obiettivi, elencati di seguito in ordine temporale.
1) Affrontare la scadenza elettorale di maggio senza troppe perdite, o addirittura con successo. La tenuta del pd, o addirittura una sua vittoria alle europee, allungherebbe la vita alla legislatura. Almeno quanto basta per … 2) “Fare le riforme” rapidamente, come ordinato dai padroni sopranazionali, ma ovviamente dopo le elezioni di maggio. La verità è che i vari D’Alema, Bindi, Finocchiaro e poi Bersani, Fassino, Veltroni e compagnia bella non sono stati “rottamati”, non sono scomparsi, ma sono sempre presenti, sia pur in posizione defilata. Sono loro, di nascosto, di comune accordo, talora fingendo aperta ostilità nei confronti del sindaco di Firenze, che hanno deciso di lasciare che il “ciclone Renzi” si sfoghi (ciclone, come l’ha chiamato il ciarpame giornalistico). E questo – udite, udite! – nonostante qualche perplessità di Napolitano, che sapeva del gioco fin dall’inizio, un po’ ha resistito, ma poi improvvisamente ha “mollato” Letta. A quel punto, una ventata di novità era di vitale importanza, e così la simulazione della rottura dei ponti con il passato (“l’Italia cambia verso”), in nome del rinnovamento. Tanto il popolino, per come è stato ridotto, ci sarebbe cascato di sicuro.
Da ciò che mi è stato detto appare chiaro che nel pd non vi è mai stata vera lotta fra il vecchio e il nuovo. Solo una trista rappresentazione scenica, a uso e consumo di un elettorato sempre più idiota e manipolabile. Inscenare le primarie con vincitore già deciso e la “comunicazione” renziana amplificata dai media, rientrano pienamente in questo ordine d’idee. La cosa divertente, che mi rivela la mia fonte d’informazione, è che Matteo Renzi, pur non essendo un’anima bella, un illuso o un grullo, ma un figlio di puttana sotto mentite spoglie, non è del tutto consapevole di questo. Cioè di essere un mero prodotto della propaganda, della burocrazia politica piddina, dei media “salva-pd” e affossa-verità. Nonostante si guardi le spalle e nutra in proposito qualche sospetto (si pensi alla spinosa questione del senato e al disegno di legge del “ribelle” Vannino Chiti), Renzi crede veramente di essere il gran capo del partito collaborazionista e di poterlo cambiare a suo piacimento. Sta di fatto, però, che Letta è stato esautorato non tanto dall’esuberante ciarlatano di Firenze, che ha eseguito la sentenza davanti ai media, ma dal suo stesso partito, i cui “dinosauri” restano prudentemente nell’ombra. Questo ci fa capire perché, nonostante Renzi invocasse elezioni politiche per la sua investitura, il suddetto è diventato presidente del consiglio senza elezioni, per volontà dei burocrati del pd. Ciò spiega, altresì, perché i cosiddetti renziani, che fino a ieri erano quattro gatti, oggi sono maggioranza (o quasi). Il bello è che nella realtà non ci sono renziani, bersaniani, lettiani, civatiani, eccetera eccetera, ma solo piddini.
Non ci sono stati (e non ci sono) scontri fra “conservatori” e “riformisti”, fra “rivoluzionari” e “reazionari”, se non nella proiezione mediatica esterna, ma vi è sempre unità d’intenti nel servire, fino alle esterne conseguenze, il padrone euroatlantista. Come mi conferma la mia fonte, gli stessi renziani, proliferati in pochi mesi, non sono che mascheramenti per conseguire i due obiettivi prima elencati. I burocrati piddini sanno che possono (e anzi, in certi momenti devono) fingere che ci sia un po’ di maretta nel partito, su temi importanti (legge elettorale, decreto lavoro, riforma del senato) dando la sensazione che il “pluralismo” delle opinioni e la democrazia esistono … e sono nel dna del pd. Dato che il programma politico applicato è unico (deciso nel sopranazionale), lo fanno unicamente per catturare e trattenere il consenso di coloro che, altrimenti, gli volterebbero la schiena disgustati. Ma sanno altrettanto bene che non possono spingersi fino al limite di rottura, proprio perché il confronto interno è una finzione. Così Civati, così Fassina, così tutti i finti oppositori di Renzi.
Ciò che ho rivelato fin qui ad alcuni potrà sembrare ovvio, ma la cosa importante è che mi è stato detto con chiarezza – in via del tutto riservata – da chi conosce bene esponenti del direttivo piddino (e forse della presente o passata segreteria, ma su questo voglio lasciare il dubbio) che con lui parlano e talora privatamente si confidano. Pensate in quale merda un intero popolo, quello italiano, è costretto a sguazzare!
B. Seconda informazione, riguardante il programma di governo e le “riforme”. Qui viene il bello … e il drammatico per il paese. Gli alti gradi piddini sanno bene che tutto è rimandato a dopo le europee. Una piccola sosta, nella strage sociale, può essere accettata dal padrone o addirittura da lui consigliata, e infatti lo è. Non a caso lo spread sta andando in discesa, con puntate sotto i 160 punti. E’ in discesa “politicamente”, in attesa di ripartire dopo il 25 di maggio, se non si rispetteranno i parametri e i trattati con l’unione. O anche se si rispetteranno a fatica, potrà schizzare ugualmente verso l’alto, perché la posta in gioco delle riforme è altissima. Questo lo pensano i piddini di vertice che si confidano con il mio “informatore” (o “informatrice”, voglio mantenere l’ambiguità). Anzitutto, gli ottanta euro propagandistici, netti e mensili, da erogare ai lavoratori poveri, è certo come la morte che saranno “una tantum”, fino alla fine dell’anno in corso, o poco oltre. Nessun piddino lo ammetterebbe mai in pubblico, ma tutti lo sanno, Renzi e le sue veline compresi. Le coperture in tal caso sono provvisorie e non reggeranno a lungo, soprattutto se dopo le europee si dovranno fare le “riforme”, quelle vere che restano in caldo, quelle richieste dagli euroglobalisti. Nonché rispettare il pareggio di bilancio, alimentare il mes e sottomettersi all’erp dando garanzie per le “eccedenze” del debito oltre il 60% del pil. Ai vertici del pd (direzione, segreteria) sanno che non è nemmeno lontanamente pensabile ricontrattare con successo le regole europoidi, semestre o non semestre italiano di presidenza. Quindi finora hanno mentito sapendo di mentire, come avverte il mio “informatore” (o la mia “informatrice”?). Ed ora i dolori in arrivo per il pubblico impiego. I dipendenti pubblici a rischio saranno – udite, udite! – almeno duecentomila (se non duecento e cinquanta mila), con buona pace per gli ottantacinque mila pensionamenti anticipati 2014 e prepensionamenti annunciati a suo tempo da Madia. Inoltre, l’espulsione dei “vecchi” dal pubblico impiego (non tutti pensionati o prepensionati!), contrariamente a quanto ha cercato di far credere Madia, non libererà posti di lavoro in egual misura per i giovani disoccupati. Neppure lontanamente (e con il blocco del turn over come la mettiamo?). Se questo ancora non bastasse, ci sia avvierà a un blocco praticamente perpetuo delle retribuzioni nel pubblico impiego, che dovranno essere rapidamente compresse (complice lo spread in risalita e la maggior spesa per interessi). Se i dipendenti pubblici sapessero tutto questo, voterebbero alle europee per il pd e per le veline-capolista di Renzi? Sul fronte del lavoro e della contrattualistica nel settore privato, c’è poco da aggiungere a quanto già si sa. Tranne che, mi avverte la mia fonte, il contratto d’ingresso renziano avrà tutele … ben poco crescenti, dando per certa un’ulteriore diffusione della precarietà. Per questo è stato rinviato. Pensionati e precari è certissimo (come la morte, ma purtroppo la loro) che non avranno un emerito cazzo, né il prossimo anno né quello successivo. Nonostante Renzi dica, a poco meno di un mese dalle europee, di voler intervenire a loro favore nel 2015.
Per ora, questo è quanto. E’ tutto ciò che sono riuscito a ricavare dalla mia fonte. Ho cercato di riportarlo al meglio, in modo sintetico ma esaustivo. Se in futuro avrò altre “soffiate”, non mi farò scrupolo di pubblicarle su Pauperclass.
Ad infima!

di di Eugenio Orso  - 1 maggio 2014
* FONTE: http://www.informarexresistere.fr/2014/05/01/rivelazioni-dopo-le-europee-il-diluvio/
tramite http://www.lanuovaitalia.eu

MARO’, IL GOVERNO CONTINUA CON I PASTICCI










 
DI ENNIO REMONDINO

Marò ostaggio e tempi ancora lunghi per liberarli. Sul caso l’Italia cambia strategia. De Mistura esce di scena. Rientra a Delhi l’ambasciatore italiano per ‘la nuova fase’ con l’avvio di procedure internazionali. Verso un arbitrato. L’anti pirateria non è solo una questione tra Italia e India.

Tra avidità e provocazione. Un avvocato indiano ha presentato alla Corte Suprema dell’India una richiesta di trasferimento del caso dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone da New Delhi a una speciale Corte del Kerala. La ‘Transfer Petition’ è firmata da Freddy John Bosco, proprietario del peschereccio St. Antony coinvolto nell’incidente in cui morirono due pescatori. L’avvocato Usha Nandini ha chiesto che in attesa della risposta della Corte sia sospeso l’iter in corso a Delhi. Una questione di soldi, oltre a quelli già presi dalle famiglie delle vittime o anche provocazione politica?

 La solidarietà del presidente Napolitano e “La svolta” del governo. Ma quale svolta? Dopo 2 anni dai fatti parte una non precisata “Procedura internazionale”. Finora era un contenzioso casereccio? Comunque sia abbiamo iniziato dall’antico, modello Cancellerie, con l’invio in India di una “Nota verbale”. Un primo passo, rassicura la ministro degli Esteri Federica Mogherini in audizione al Senato, che se non darà esiti sfocerà nel ricorso a strumenti internazionali quali l’arbitrato. Oltre la decisione di far rientrare a Delhi l’ambasciatore italiano Daniele Mancini per seguire “la nuova fase”

 Licenziato con onore l’ex sottosegretario Staffan de Mistura a cui viene riconosciuta “dedizione e l’instancabile impegno”. Ma senza risultati. Per colpa di chi? Secondo la giovane neo ministro degli Esteri “Servono figure nuove, stiamo definendo un collegio di esperti sotto la guida di un coordinatore per seguire la nuova fase”. Che servano soltanto adesso degli ‘esperti’ farebbe paura e l’indefinita “Nuova fase” che ritorna fa un po’ sorridere. Sul ‘nuovo’ che avanza, l’esempio non incoraggiante della ‘nota verbale’ annunciata. La quinta ci risulta. Mentre non sono note eventuali risposte.

   Ma cosa andiamo a dire alle autorità indiane con questa raffica di note verbali? Ci viene ripetuto che “La divergenza è sulla giurisdizione”. Perbacco! Ora “Chiediamo l’avvio di un ‘exchange of views’ – che vuol dire uno scambio di vedute ma suona meglio in ingles – sulla disputa e il ritorno dei marò in Italia”. Semplice. La Bonino forse non ci aveva pensato. A ribadire l’ovvio anche la ministro della Difesa Roberta Pinotti. “Ad oltre due anni dall’incidente, a fronte di un atteggiamento da parte dell’India dilatorio, manca ancora un atto di accusa valido nei confronti dei due fucilieri di marina”.

Dei due Marò parla anche il presidente Napolitano nel suo discorso per il 25 aprile. Parole che seguono l’annuncio del governo di cui sopra. La proclamata e non esplicata ‘svolta’ nella vicenda. Certamente verso un arbitrato. A spiegare un po’ di più e meglio rispetto al ‘politichese’ riservato dalle due ministro nell’audizione al senato, un’intervista della stessa ministro degli Esteri Mogherini al quotidiano Il Tempo. Nuove fase ancora imprecisata “I cui tempi, però, non si annunciano brevi. Percorso internazionale lungo e complesso né breve né semplice”. Nuova fase senza alcuna novità.

Sotto: Staffan de Mistura




di Ennio Remondino - 27 aprile 2014
fonte. https://luciogiordano.wordpress.com

30/04/14

Cocer GDF: “Giustificare in qualunque modo l’evasione vuol dire non comprendere che senza legalità non c’è speranza di futuro.”

Sindacato GDF Guardia di Finanza


L’immagine a lato contiene un grave errore perché la Guardia di Finanza non ha un sindacato. Ha un organo di rappresentanza che si divide in Cobar – COnsigli di BAse di Rappresentanza, Coir – COnsigli Intermedi di Rappresentanza e Cocer – COnsiglio CEntrale di Rappresentanza con poteri limitati e non paragonati a quelli di un sindacato.
 Interessante è invece il corpo dell’articolo dove è riportata la risposta del COCER della Guardia di Finanza agli articoli pubblicati nei giorni scorsi dalla stessa testata giornalistica in merito alla Guardia di Finanza ed in particolare a Guardia di Finanza: ecco il testo integrale della grave “denuncia” di un maresciallo.
“Gentile direttore, il quotidiano da Lei diretto in questi giorni è tornato ad occuparsi dell’evasione fiscale, uno dei problemi più gravi che affligge il nostro Paese e che ne impedisce uno sviluppo equo e solidale. Lo ha fatto prendendo spunto dalla lettera con la quale un anonimo collega Le esponeva le sue personali considerazioni. Al riguardo, vogliamo fornire ai suoi lettori il nostro punto di vista sull’attività che i finanzieri tutti giorni, con impegno e serietà, svolgono a favore della collettività.
Non solo piccoli – Non ci occupiamo solo di piccole realtà economiche, gran parte del nostro lavoro è legata al contrasto delle frodi e viene svolta più attraverso indagini giudiziarie che con lo svolgimento di ispezioni amministrative. La nostra attività in materia fiscale si incentra oramai, in modo significativo, su evasioni di tipo internazionale (esterovestizioni, transfer pricing, frodi carosello, eccettera). Le recenti decisioni di importanti gruppi economici di chiudere le loro posizioni con il fisco attraverso il versamento, ciascuno, di centinaia di milioni di euro sono frutto del nostro lavoro.
Come tutte le organizzazioni che si prefiggono livelli di efficienza, abbiamo obiettivi che dobbiamo conseguire. Tali obiettivi sono la formale demoltiplicazione di quelli che, annualmente, compongono l’azione dei governi che si succedono alla guida del Paese.
Gli obiettivi – Tali obiettivi sono diventati via via più pressanti per due ordini di ragioni:
- la Guardia di Finanza, dal 2001, non è più solo la «polizia delle tasse», ma anche l’organo che svolge controlli in materia di spesa pubblica, nonché di mercato, sia di quello dei capitali che dei beni e dei servizi;
- la progressiva riduzione del personale (mancano oramai 10.000 effettivi rispetto agli organici) e delle risorse per il funzionamento.
Sotto pressione – Ne consegue che la struttura e le persone che la compongono sono sotto pressione perché tutti i governi hanno cercato, da un lato, di risparmiare sui costi, dall’altro, di incrementare i risultati in termini di gettito fiscale, di efficienza della spesa pubblica e di maggiore legalità nel funzionamento dei mercati. Nonostante ciò, continuiamo ogni giorno a fare il lavoro per cui siamo pagati, con serietà e professionalità, senza alcun accanimento o vessazione e nel solo obiettivo di tutelare gli interessi della collettività. Questo non significa, ovviamente, che va tutto bene: il sistema fiscale ha bisogno di riforme strutturali, la tassazione va ridotta, la legislazione va semplificata, occorre puntare decisamente sull’adempimento spontaneo e sulla prevenzione. In ogni caso, una cosa è certa: l’evasione fiscale va duramente contrastata in quanto socialmente inaccettabile, poiché mina alla base la giustizia nei rapporti fra i cittadini, prima ancora che fra cittadini e Stato. Questo Paese, purtroppo, e lo diciamo con cognizione di causa, vista la professione che svolgiamo, è affetto da forme di illegalità diffusa che attraversano settori tutt’altro che irrilevanti della nostra società.
Giustificare in qualunque modo l’evasione vuol dire non comprendere che senza legalità non c’è speranza di futuro. Le nostre «visite» non fanno piacere: non lo possono fare. Men che meno possono far piacere i sequestri patrimoniali operati, peraltro, sempre a seguito delle decisioni dell’Autorità giudiziaria. Possiamo capire lo stato d’animo di alcuni lettori.
Capiteci – Chiediamo a loro, però, di comprendere anche il nostro non facile ruolo in un Paese dove l’evasione fiscale è stata per troppo tempo considerata un peccato veniale e non una furto a danno degli onesti. Ci teniamo a precisare, altresì, che a differenza di quanto avviene per le Agenzie fiscali, i nostri stipendi, compresi quelli dei dirigenti, non sono in alcun modo legati alle verbalizzazioni. Non esiste una retribuzione di risultato, ovvero il nostro compenso non cambia se il controllo fiscale è positivo. Non solo, i nostri stipendi sono bloccati dal 2010, ciò vuol dire che se una persona meritevole nel frattempo ha migliorato la sua posizione, assumendo nuovi ruoli o responsabilità, continua a percepire la retribuzione che aveva nel 2010 a prescindere. Anche noi, come detto, auspichiamo riforme della legislazione fiscale e dell’apparato di controllo. Siamo disponibili al dialogo e al confronto con tutte le componenti sociali per migliorare la Guardia di Finanza, ma a una cosa teniamo: la nostra dignità! Non possiamo accettare di essere etichettati come coloro che chiedono «tangenti di Stato». Applichiamo leggi e direttive di uno Stato democratico, il quale appresta i rimedi necessari a tutelare la posizione di coloro che si ritengano ingiustamente lesi nei diritti.

Il Cocer Guardia di Finanza

fonte : http://donnemanagerdinapoli.com  -  30 aprile 2014

CLAMOROSO: SI DEVE TORNARE A VOTARE







La Cassazione a Napolitano: tornare subito al voto. Notizia esclusiva pubblicata da Affaritaliani.it, dove viene riportata nero su bianco la lettera scritta a quattro dagli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani, ed indirizzata al Presidente Napolitano. Leggiamo:

"Vorremmo attirare la Sua attenzione sulla importantissima recente sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, n. 8878/14 del 4 aprile 2014, nella quale, con l'efficacia del "giudicato erga omnes " è stato accertato e dichiarato che "...i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento...".

Questa la premessa, seguita poi dalla parte più importante. Riporta Affaritaliani.it:

"Il principio di continuità dello Stato non può legittimare fino alla fine della legislatura le Camere elette in violazione della libertà di voto e che sono il frutto della grave ferita inferta "alla logica della rappresentanza consegnata dalla Costituzione"




L'attuale Parlamento, in conclusione,

"non ha alcuna legittimazione democratica per apportare modifiche alla vigente Costituzione, né per modificare la legge elettorale risultante dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale. Auspichiamo, pertanto, che Lei, preso atto dell'ineludibile giudicato e dell'obbligo giuridico di darvi pronta attuazione, promuova gli atti necessari affinché il Popolo Italiano sia finalmente messo in grado di "esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale".

30 aprile 2014

fonte: http://www.tzetze.it/redazione

29/04/14

Sbarchi. Il Viminale: "Accoglienza al collasso, il problema è la Libia"

 

 

 

- Angelino Alfano, annunciando l'avvio di Mare Nostrum, parlò di rafforzamento «della protezione della frontiera» con la «deterrenza del pattugliamento e dell'intervento delle Procure».

- L'allora titolare della Difesa, Mario Mauro riferì che i migranti raccolti in mare sarebbero stati trasferiti nel porto sicuro più vicino "non necessariamente italiano" e più tardi rese noto che i proventi incassati dai trafficanti finanziavano il terrorismo islamico.

- L'Italia oggi è l'unico Paese ad accogliere chiunque arrivi illegalmente davanti alle sue coste

- Se non ci saranno correzioni l'operazione "Mare Nostrum", così com'è, potrebbe rivelarsi un dramma per l'Italia e per gli stessi immigrati

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- "Attraverso la Libia - ha spiegato Pinto - giunge l'universo mondo. In quel Paese c'è la percezione di assoluta mancanza di controllo e rischiamo in prospettiva di vedere aumentare sensibilmente il numero di clandestini "

 - I soccorsi,  ha proseguito il dirigente del Viminale, "si svolgono a 30-40 miglia dalle coste libiche                        

(QUESTO NON E' UN SOCCORSO, E' UN SERVIZIO TRAGHETTI...!! )

"Sicuramente l'operazione Mare Nostrum - ha sottolineato poi il prefetto - ha dato risultati eccellenti, anche se ha incrementato le partenze dalla Libia". 

(RISULTATI ECCELLENTI PER CHI?  PER LE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI DEDITI AL TRAFFICO DI ESSERI UMANI CHE SI STANNO ARRICCHENDO ? ) 

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SE IL PROBLEMA E' LA LIBIA, LO STESSO DISPOSITIVO NAVALE PUO' ESSERE SCHIERATO A RIDOSSO DELLE COSTE LIBICHE PER BLOCCARE O CALMIERARE LE PARTENZE


e.m. 

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"Mare Nostrum salva le vite, ma ha facilitato le partenze". Audizione in Senato del direttore centrale dell'immigrazione, che poi però specifica: "Situazione sotto controllo"
Roma - 29 aprile 2014 - In nordafrica ci sono "800 mila persone, se non di più" che  vorrebbero raggiungere l'Europa. A dirlo è stato stamattina il prefetto Giovanni Pinto, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'Interno,  nel corso di un'audizione al Senato.
"Il sistema di accoglienza - ha spiegato - è al collasso, non abbiamo più luoghi dove portarli e le popolazioni locali sono indispettite dal continuo arrivo di stranieri" e il Viminale si sta attrezzando per dare accoglienza a 50 mila persone. "Sicuramente l'operazione Mare Nostrum - ha sottolineato poi il prefetto - ha dato risultati eccellenti, anche se ha incrementato le partenze dalla Libia".

 "Attraverso la Libia - ha spiegato Pinto - giunge l'universo mondo. In quel Paese c'è la percezione di assoluta mancanza di controllo e rischiamo in prospettiva di vedere aumentare sensibilmente il numero di clandestini. In Libia non c'è un primo ministro, non c'è alcuna compagine governativa, non ci sono ministri. Ci sono clan, due in questo momento, che hanno il controllo: uno di area moderata, l'altro estremista supportato dal Qatar. I rappresentanti nominati dell'Assemblea sono alle dipendenze delle tribù che controllano il territorio".

"Non abbiamo di fronte - ha lamentato il dirigente del Viminale - un governo col quale instaurare una dialettica, mancano interlocutori, possiamo dare tutti gli aiuti che vogliono, ma poi potrebbero essere usati in maniera negativa, non per le finalità stabilite".
Dopo la tragedia del 3 ottobre a Lampedusa, ha ricordato Pinto, "non abbiano più morti e questo è un dato oggettivo. Meglio gli arrivati che i morti, anche se un così massiccio arrivo di persone crea problemi. Mare Nostrum ha svolto un'operazione di drenaggio delle partenze, raccogliendo finora 23mila persone".
I soccorsi,  ha proseguito il dirigente del Viminale, "si svolgono a 30-40 miglia dalle coste libiche, le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di uomini lo sanno e ricorrono a natanti di qualità sempre peggiore, gommoni artigianali fatti in casa e barconi fatiscenti. Il prezzo del viaggio si è abbassato rapidamente. Non hanno bisogno di mettere eccessivo carburante e cibo perché sanno che la percorrenza massima sarà di 10-12 ore e le organizzazioni stanno lucrando ingenti somme da questo traffico".

Secondo Pinto, serve "una exit strategy da Mare Nostrum. Bisogna ripensare l'organizzazione del pattugliamento in mare".

Il prefetto ha quindi fornito alcuni numeri sui costi sostenuti dall'Italia: nove milioni e mezzo di euro al mese per il pattugliamento; due milioni e mezzo di euro sono stati spesi per gli oltre 50 voli interni di trasferimento dei migranti dalla Sicilia ad altre località; 1,2 milioni di euro per i 30 voli di rimpatrio. "La Commissione europea - ha sottolineato - deve mettersi le mani in tasca e dare risorse".
Intanto, "il Viminale sta pensando ad un piano di accoglienza per 50 mila migranti, perché i 16mila posti dello Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) non sono sufficienti".
L' audizione ha scatenato subito molte polemiche, ma lo stesso Pinto ha poi ridimensionato l'allarme: "Tra i 600mila e gli 800mila sono in Libia, ma non è detto che siano pronti a partire. E poi vorrei assicurare tutti che la situazione è assolutamente sotto controllo. La situazione è complessa, ma stiamo gestendo tutto con la massima tranquillità e non c'è nessuna situazione di allarme". 

Martedì 29 Aprile 2014 14:50

fonte: http://www.stranieriinitalia.it 

28/04/14

Vi hanno detto che la Grecia è tornata a crescere. E il bello è che ci avete anche creduto



La Grecia torna a crescere? Piano con l’entusiasmo. «L’economia non è in recessione. Non è nemmeno in ripresa. È semplicemente crollata». E le politiche europee imposte ad Atene sono «un fallimento epico»



vviva, evviva! Le gazzette finanziarie del mondo intero esultano: la Grecia è tornata sui mercati finanziari. Sì, il paese che quattro anni fa era sull’orlo della bancarotta e rischiava di trascinare nel baratro con sé l’intero sistema della moneta unica europea; l’economia oggetto del più grande programma di ristrutturazione del debito pubblico della storia (107 miliardi di euro di tagli del valore nominale dei bond detenuti da privati, 246 miliardi di euro di prestiti per il salvataggio vero e proprio); il debitore sovrano i cui titoli decennali erano arrivati a richiedere teorici tassi d’interesse del 40 per cento all’inizio del 2012.
Dieci giorni fa questo bell’esemplare di irresponsabilità finanziaria ha piazzato bond quinquennali per un valore di 3 miliardi di euro al modico tasso d’interesse del 5 per cento. Da stropicciarsi gli occhi. Il ragazzo ha fatto i compiti a casa che i tre arcigni professori (la “troika” composta da Fondo monetario internazionale, Unione Europea e Banca centrale europea) gli hanno imposto, e i risultati si vedono: con un anno d’anticipo addirittura sulla tempistica dei memorandum firmati con la troika, la Grecia ha potuto registrare alla fine del 2013 un avanzo primario del suo bilancio di 1,5 miliardi di euro, pari all’1,5 per cento del suo Pil. Il quale ha ripreso a crescere dopo sei anni consecutivi di contrazioni a partire dal 2008: alla fine del 2014 si dovrebbe registrare uno 0,6 per cento in positivo, destinato a trasformarsi in un tonico più 2,9 per cento l’anno prossimo.


Grecia, proteste in piazza contro la Merkel

L’economia greca è in ripresa? Lo spettro di una crisi sistemica che dalla Grecia investirebbe tutta l’eurozona si è dissolto alle prime luci del giorno? Non parrebbe proprio. «L’economia greca non è in recessione. Non è nemmeno in ripresa. È semplicemente crollata», scrive Wolfgang Münchau, l’enfant terrible del Financial Times. L’economista greco Costas Lavapistas parla di «stabilità raggiunta sulle macerie». Sul Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard definisce le politiche della troika «un fallimento epico che sarà analizzato per anni dagli studiosi» e «un esperimento crudele a cui è stato sottoposto il popolo greco». Esagerazioni? Sia le statistiche macroeconomiche che quelle settoriali dicono di no. Anzitutto la crescita del Pil quest’anno e l’anno prossimo è un rimbalzino da niente se messa in prospettiva: fra il 2008 e la fine dello scorso anno il Pil greco si è contratto del 27 per cento. Sei anni consecutivi di recessione di un paese industrializzato in tempo di pace non si erano mai visti, nemmeno al tempo della Grande Depressione. Ne è conseguito che il rapporto fra il debito pubblico e il Pil, nonostante feroci tagli alla spesa pubblica, agli stipendi e alle pensioni, è nettamente peggiorato anziché migliorare: nel 2009 il debito pubblico rappresentava il 127 per cento del Pil, oggi ammonta al 175 per cento.
Poi c’è il problema della disoccupazione: nel 2009, quando la crisi si profilava, riguardava il 7,5 per cento della manodopera, oggi è arrivata al 28 per cento, con una fantascientifica punta del 60,4 per cento fra i giovani sotto i 25 anni. Il numero dei greci attivi nell’economia è il più basso da 33 anni a questa parte. Tre milioni e mezzo di occupati sostengono 4,7 milioni di disoccupati e di non attivi. È questo spaventoso tasso di disoccupazione che permette di mantenere bassissimi gli stipendi di chi lavora, senza timore che le proteste (36 scioperi generali dal 2010 ad oggi) si traducano in rivolta sociale. Il salario minimo è stato ridotto dai 751 euro del 2009 ai 586 attuali, che scendono a 489 per i giovani sotto i 25 anni. La forchetta dei tagli salariali generali compiuti dal governo a partire dal 2010 va dal 30 al 40 per cento (quest’ultimo valore riguarda in particolare gli stipendi degli insegnanti).
Come ha fatto il governo ad arrivare all’avanzo primario di bilancio? Non certo con le privatizzazioni, che non sono decollate per motivi anche ragionevoli: nel clima generale di depressione e deflazione, sarebbe toccato vendere i beni statali per un tozzo di pane. Licenziamenti e prepensionamenti nella pubblica amministrazione e tagli della spesa previdenziale e statale sono stati lo strumento principale. Le pensioni sopra i 1.000 e sopra i 1.500 euro sono state più volte sforbiciate, e anche quest’anno ci saranno tagli che vanno dal 5 al 15 per cento. Il bilancio dell’educazione è diminuito del 28 per cento fra il 2008 e il 2013, quello della sanità dell’11 per cento e la spesa farmaceutica è passata dai 4,37 miliardi di euro del 2010 ai 2 miliardi e poco più previsti per quest’anno. In parte si è trattato di benvenute razionalizzazioni, ma in gran parte anche di incisioni nella carne viva. I tagli nei programmi per i tossicodipendenti, per la dezanzarizzazione e per i servizi di salute mentale sono sfociati nel boom delle infezioni da Hiv fra chi si inietta eroina (da 29 casi nel 2009 a 482 nel 2012), nella ricomparsa della malaria e nel raddoppio del numero dei suicidi.

Sciopero generale in Grecia 

La roadmap voluta dalla troika
Più in generale, la fotografia della società greca dopo sei anni di crisi e quattro di cura della troika è quella di una comunità umiliata e sull’orlo della rovina, assolutamente non in grado di mettere in moto un ciclo di espansione economica. Il 23,7 per cento dei greci si trova sotto la soglia della povertà e il 25 per cento rischia lo stesso destino; il 48,6 per cento dei nuclei familiari vive principalmente grazie alla presenza di un percettore di pensione al suo interno. Il 72 per cento delle famiglie (cioè 2,3 milioni su 2,8) hanno debiti col fisco che non sono in grado di estinguere. E anche con le banche: il 42 per cento dei prestiti delle banche ai privati (mutui, canoni di carte di credito e prestiti personali) sono diventati crediti in sofferenza. Il 30 per cento della popolazione non ha più copertura sanitaria perché è venuta meno la copertura assicurativa legata alla posizione di lavoro dipendente. Non essendo più in grado di pagare bollo e assicurazione automobilistica, fra il 2010 ed oggi 600 mila greci hanno disimmatricolato la propria auto, consegnando la targa in prefettura e immobilizzando all’interno di proprietà private il loro veicolo.
Secondo la roadmap fissata nei memorandum firmati da governo greco e troika, la Grecia deve portare il rapporto debito/Pil al 124 per cento entro il 2020 e sotto al 110 per cento entro il 2022. Per arrivare a tanto, sarebbero necessari avanzi primari di bilancio dell’ordine del 4-4,5 per cento annuo a partire da quest’anno per un decennio di seguito. Come possa l’esausta Grecia raggiungere tali obiettivi partendo dalla situazione sopra descritta, è qualcosa che appartiene al regno della fantasia. Perché allora i mercati finanziari hanno mostrato tanto entusiasmo per l’emissione di bond greci? Per fattori esterni alle politiche attuate da Atene. Anzitutto la famosa frase di Mario Draghi, pronunciata nel luglio 2012, secondo cui la Bce «è pronta a fare tutto quello che è necessario per conservare l’euro» continua a produrre effetti come una vera e propria formula magica: ha contribuito in misura decisiva a smorzare la speculazione sui titoli del debito italiano e spagnolo, mantenendo lo spread coi titoli tedeschi a livelli tollerabili, e ora permette alla Grecia di tornare sui mercati finanziari con senso di sicurezza. A ciò si aggiunga l’attesa quasi spasmodica che la Bce, superate le sempre più flebili resistenze tedesche, dia il via a politiche di quantitative easing (alleggerimento quantitativo), cioè l’acquisto di titoli, anche tossici, dagli istituti finanziari, per abbassare i loro tassi di interesse e creare base monetaria. Il terzo elemento su cui si sono basati gli investitori per buttarsi a pesce sui bond greci è il fatto che ormai il debito pubblico di Atene è detenuto per l’80 per cento dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dagli stati membri dell’Unione Europea. Questo fa sì che le probabilità di default siano molto basse, anche perché – e arriviamo al quarto fattore – Fmi e stati dell’Unione si stanno rivelando dei creditori particolarmente generosi. Mentre a parole respingono le richieste greche di ristrutturazione del debito, cioè di remissione di una parte di esso, nei fatti stanno applicando concessioni che equivalgono a cancellazioni mascherate.

grecia-crisi-riscaldamento-legna 

E alla scadenza dei prestiti?
Oramai la maturità media del debito greco, cioè il termine di tempo entro il quale il prestito va interamente restituito, si aggira attorno ai 17 anni e mezzo, a fronte di tassi di interesse del 2 per cento circa. E già circolano proposte di estendere ancora di più i termini per la restituzione, fino a 30 e a 50 anni, e con tassi di interesse inferiori al 2 per cento. Questa sarebbe davvero una ristrutturazione del debito che non dice il suo nome. Intanto c’è la certezza che prima del 2023 la Grecia non dovrà restituire alcun prestito a Fmi e Unione Europea. E questa per investitori che si sono visti offrire titoli a scadenza quinquennale è una vera cuccagna. Naturalmente c’è ancora chi, soprattutto da parte tedesca, propone di offrire un terzo pacchetto di aiuti nell’estate prossima, in caso di bisogno. Ma su questo versante Atene nicchia giustamente: un terzo salvataggio giungerebbe accompagnato da nuove, severe condizioni. Il governo di Antonis Samaras ha deciso di pagare sui mercati tassi di interesse del 5 per cento, anziché chiedere altro denaro a Unione Europea e Fmi che finora hanno fornito prestiti attorno al 2 per cento, proprio per garantirsi maggiori margini di manovra nella politica economica e fiscale interna. Coi sondaggi che danno la sinistra radicale di Syriza guidata da Alexis Tsipras in vantaggio di un punto e mezzo percentuale sul partito del premier Nea Dimokratia alle elezioni europee del 25 maggio, il governo ha bisogno di non dover sottostare a nuovi diktat europei che farebbero perdere altri voti, e di dimostrare all’elettorato che quanto sin qui fatto dall’esecutivo, con misure dolorosissime, ha però ricreato la fiducia dei mercati e quindi anche restituito un po’ della sovranità nazionale messa fra parentesi negli ultimi anni.
A Syriza che ha accusato il governo di sprecare i soldi dei greci per il fatto di pagare interessi del 5 per cento agli investitori internazionali, mentre i prestiti europei implicano un esborso del 2 per cento, Samaras ha avuto buon gioco nel replicare che fino a ieri era proprio Tsipras che accusava il governo per avere accettato i soldi al 2 per cento di Fmi ed Europa, erogati però a prezzo di feroci tagli alla spesa pubblica, ai salari e ai diritti dei lavoratori. Resta comunque il fatto che la riconquistata fiducia dei mercati è una fiducia a cinque anni, commisurata alla certezza che entro tale lasso di tempo il sostegno di Europa e Fmi alla Grecia non verrà meno. E dopo? Quando si tratterà di restituire i prestiti? Quando le attese di ripresa economica a lungo termine non si materializzeranno? Quando l’indebitamento nel lungo termine non sarà più sostenibile? Nessuno ha la risposta. Münchau ha avanzato una proposta indecente. A questo punto, dice, la Grecia potrebbe dichiarare default: dal punto di vista greco, questo è il momento migliore per farlo. Adesso che le condizioni per avanzi primari di bilancio sono state create, Atene potrebbe giocare la sua mano di poker.

Non c’è default dopo un default
La sequenza potrebbe essere questa: «La Grecia dichiara default su tutto il suo debito estero. Istituisce una nuova valuta che verrebbe immediatamente svalutata. Per consolidare il guadagno competitivo – per trasformarlo in una vera svalutazione – servirebbe una banca centrale con un obiettivo di inflazione credibile e una manodopera e mercati dei beni sufficientemente deregolamentati. Non è una scelta facile, sarebbero necessarie riforme strutturali più ampie di quelle realizzate. Uno scenario del genere metterebbe in fuga gli investitori nell’immediato, ma si potrebbe contare sul fatto che rapidamente dimenticherebbero e farebbero ritorno velocemente. Dopo tutto, la probabilità di un default è minima, subito dopo che ha avuto luogo un default! A quel punto, una Grecia riformata risulterebbe molto attraente per gli investitori stranieri, e non solo per quelli finanziari».

aprile 28, 2014 Rodolfo Casadei

fonte: http://www.tempi.it

RIVEDERE O CANCELLARE L’OPERAZIONE MARE NOSTRUM?






Forse il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ragione nel sostenere che “in Italia si pone sempre il problema dell’immigrazione in campagna elettorale” ma, come lui stesso ha ammesso, “nel merito non c’é dubbio che c’è un problema. L’Operazione Mare Nostrum va verificata e aggiornata”.  Le polemiche scoppiate dopo gli ultimi arrivi di massa di immigrati clandestini provenienti dalla Libia e raccolti in mare dalle navi militari nell’ambito dell’operazione attiva dall’ottobre scorso sono giustificate dai fatti ma esplodono con un ritardo sospetto per non attribuirle a mere esigenze di campagna elettorale. Non è certo la prima volta che negli ultimi sei mesi che ondate di immigrati vengono sbarcati sulle coste siciliane e poi distribuiti in tutta Italia dopo essere stati raccolti in mare da fregate, corvette, pattugliatori e navi da sbarco della Marina. Complice anche un inverno mite il flusso dalla Libia non si è mai fermato e la presenza della nostra flotta ha semplificato l’attraversata favorendo gli affari dei trafficanti nordafricani. Non è neanche la prima volta che gli immigrati, invece di mostrare riconoscenza e rispetto nei confronti dell’Italia, si abbandonano ad atti vandalici o fuggono dai centri d’accoglienza.



“Questa operazione Mare Nostrum è un’autentica follia e continuiamo a spese nostre a fare da taxi e camerieri per i trafficanti di clandestini. Si deve sospendere subito questa operazione che, come era stato facile prevedere, incoraggia tutte le bande criminali che approfittano del vuoto di potere in Libia causato da una guerra deleteria imposta da presunti interessi americani e francesi” ha detto Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia e vice presidente del Senato aggiungendo che “siamo di fronte a un disastro che l’Unione Europea ignora e che il governo italiano ha sottovalutato colpevolmente”.  Tutto vero ma non si tratta certo di una novità così come non stupisce che la Lega Nord cavalchi (ancora) il cavallo di battaglia della lotta all’immigrazione dimenticando però che nel 2011 il Ministro degli Interni Roberto Maroni diede il via libera all’accoglienza di 24 mila tunisini (per metà galeotti fuggiti dalle prigioni) che nulla avevano  che fare con i profughi del conflitto libico.
In realtà i limiti di Mare Nostrum e l’assurdità di impiegare fregate lanciamissili da 60 mila euro di costo al giorno per raccogliere in mare immigrati e portarli in Italia era già evidente dall’avvio dell’operazione come Analisi Difesa sottolinea   dall’ottobre scorso. All’epoca però tutti (anche nel centrodestra) diedero credito alle dichiarazioni del governo Letta circa gli obiettivi di Mare Nostrum che riguardavano non solo il soccorso ma anche la deterrenza.



Il Ministro degli Interni, Angelino Alfano, parlò di “rafforzare la protezione della frontiera” con la “deterrenza del pattugliamento e dell’intervento delle Procure” mentre il Ministro degli esteri, Mario Mauro, sostenne inizialmente che gli immigrati sarebbero stati portati in un porto sicuro non necessariamente italiano e poi rivelò che i profitti dai trafficanti finanziano anche il terrorismo islamico. Sei mesi dopo il bilancio dell’operazione è del tutto negativo se si esclude il fatto che la Marina ha scongiurato altri tragici naufragi come quello dell’ottobre di fronte a Lampedusa in cui morirono oltre 300 persone. Dopo i 43 mila arrivi dell’anno scorso ( il 224% in più del 2012) nei primi quattro mesi di quest’anno sono già 24 mila gli immigrati sbarcati tutti e solo in Italia mentre altri 700 mila (lo dice il ministro Alfano) sono pronti a imbarcarsi in Libia. Li accoglieremo tutti per poi lasciarli liberi di vagare per il territorio nazionale?  Gli ordini impartiti alla Marina non hanno mai consentito di contrastare i traffici ma solo di favorirli e anche se un centinaio di scafisti sono stati arrestati i flussi non ne hanno risentito e del resto quei criminali non temono certo la giustizia o il carcere italiani. Le porte spalancate hanno aumentato i “clienti” dei trafficanti e ridotto i costi delle traversate mentre i piccoli cantieri navali sulla costa tra la Tunisia e la Tripolitania che un tempo realizzavano barche da pesca ora lavora alacremente per varare “legni” da mettere in mare riempiti all’inverosimile di immigrati.



Grazie a Mare Nostrum e al solito ipocrita buonismo italico siamo diventati l’unico Paese al mondo a non difendere i propri confini e ad aiutare chiunque possa pagare il “pizzo” ai trafficanti a superarli. L’Italia è anche l’unico Stato a utilizzare la flotta per favorire l’immigrazione clandestina e arricchire i criminali al costo dichiarato di 9 milioni di euro al mese. Certo l’emergenza immigrati ha portato anche qualche vantaggio alla Marina consentendole di far valere la propria importanza e ottenere nell’ambito della stessa Legge di Stabilità che in novembre stanziò 210 milioni per assistere gli immigrati un insperato (specie in tempi di spending review) finanziamento pluriennale di 6 miliardi di euro per rinnovare una flotta destinata “all’estinzione” poiché gran parte delle unità in servizio sono giunte ormai alla fine della vita operativa.
Continuiamo a lamentarci che l’Unione Europea non ci aiuta a gestire l’emergenza e i nostri “partner” si rifiutano di accogliere parte dei clandestini? Ci stupiamo ancora dell’inaffidabilità dei nostri alleati dopo che proprio loro scatenarono la guerra in Libia nel 2011 con l’obiettivo non secondario di colpire i nostri interessi?



Nell’attuale contesto cancellare Mare Nostrum ritirando la flotta non risolverebbe l’emergenza provocando una nuova concentrazione dei flussi su Lampedusa con il rischio di nuovi naufragi e tragedie. In base al principio che ogni Stato è sovrano sarebbe invece meglio assumere iniziative concrete per tutelare gli interessi nazionali ammesso che qualcuno abbia ancora una vaga idea di cosa significhi questa espressione. Con la forza navale mobilitata si potrebbe gestire un’operazione di respingimento che riporti in Libia gli immigrati, con la sola esclusione dei bisognosi di cure sanitarie, garantendo la sicurezza di un tratto di costa nel quale le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite potrebbero concentrare l’intervento umanitario. Una buona occasione per ricordare ai “partner” della Ue che in Libia c’è una missione europea (Eubam) per il controllo delle frontiere le cui attività non hanno finora lasciato tracce.



I Fucilieri di Marina e le navi da combattimento sono in grado di garantire un consistente deterrente e del resto noi italiani siamo riusciti a lanciare oltre 700 bombe e missili sui nostri “alleati libici” (in base al Trattato di amicizia firmato con Gheddafi) nel 2011 che ora non dovremmo farci troppi scrupoli a puntare le armi contro schiavisti e miliziani. Basterebbero pochi respingimenti gestiti in questo modo per dimostrare che l’Italia non si fa condizionare dai criminali e ottenere la cessazione o il ridimensionamento dei flussi migratori poiché nessuno pagherebbe più  migliaia di euro o dollari per ritrovarsi al punto di partenza. Disponiamo inoltre degli strumenti necessari (intelligence, droni e forze speciali) a trovare e colpire i boss delle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici di esseri umani. Strumenti che peraltro impieghiamo da anni contro i talebani afghani.
Certo occorrerebbe forzare Tripoli a dare il suo assenso anche se a questo proposito il Ministro degli Esteri, Federica Mogherini sostiene che “l’attuale governo libico non ha il pieno controllo del territorio ne’ può garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti e questo rende impraticabile ogni ipotesi di collaborazione finalizzata al rimpatrio dei migranti verso tale Paese”. La sua collega alla Difesa, Roberta Pinotti sostiene che in Libia “non abbiamo interlocutori istituzionali stabili e non si possono ipotizzare accordi per bloccare il flusso migratorio in partenza”.



Le stesse valutazioni potrebbero però portare  anche a conclusioni opposte.  L’assenza di interlocutori credibili o stabili a Tripoli imporrebbe infatti di assumere iniziative anche unilaterali per tutelare gli interessi nazionali. Del resto gli statunitensi entrano in Libia a loro piacimento per catturare o uccidere uomini di al-Qaeda e nessuno si pose problemi morali quando la NATO bombardò la Libia per sette mesi pur di far cadere il regime di Gheddafi o quando anche Roma fornì in segreto armi ai ribelli libici aggirando l’embargo decretato dall’Onu.
E poi siamo così sicuri che in Libia non ci prendano ancora una volta per il naso? E’ vero che il Parlamento di Tripoli non ha ancora nominato un nuovo premier dopo la fuga di Alì Zeidan e le dimissioni (sotto minaccia) di Abdullah al Thani ma l’esercito libico (che addestriamo pure noi italiani) ha ripreso il controllo di due dei 4 porti petroliferi in mano ai ribelli della Cirenaica consentendo di riprendere il lucroso export di petrolio. I libici hanno battaglioni per presidiare i terminal energetici ma non riescono a controllare i porti utilizzati dai trafficanti di esseri umani?  Il vertice indetto il 28 aprile da Renzi con i vertici dei servizi segreti e i ministri degli Interni e della Difesa per verificare e aggiornare Mare Nostrum costituisce una buona occasione per cambiare linea impiegando lo strumento militare per risolvere i problemi, non per aggravarli.
Foto: Marina Militare



di Gianandrea Gaiani
26 aprile 2014, pubblicato in Editoriale
fonte: http://www.analisidifesa.it

Foto: Marina Militare

27/04/14

Staffan De Mistura a Capri, i Marò nelle grinfie dell'India










 Staffan De Mistura: dopo due anni inconcludenti sul caso dei marò, un buen retiro pagato a Anacapri



Staffan De Mistura, cui il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha dato il benservito da plenipotenziario per la vicenda dei marò in India, si è trovato una collocazione di tutto rispetto e da invidiare: sarà il direttore generale della “Fondazione Axel Munthe”, a Capri, anzi Anacapri. Il posto, ha scritto Vincenzo Nigro su Repubblica, glielo ha dato il Governo della Svezia, dove Staffan De Mistura è nato e di cui era e forse è ancora cittadino.
Staffan De Mistura paga per il fallimento della trattativa per liberare i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dalle grinfie degli indiani.  Magari non tutte le colpe sono sue: lo hanno condizionato le mire del ministro degli Esteri del 2012 Giulio Terzi e del primo ministro Mario Monti, l’inadeguatezza complessiva dell’apparato diplomatico italiano, già apprezzata nelle varie vicende di navi ostaggio dei pirati; tutti elementi che si sono aggiunti a dei probabili limiti individuali.
La nuova sede di Staffan De Mistura è uno dei posti più belli del mondo, sulla punta di Anacapri, dove duemila anni fa viveva nella sua villa diffusa fra le rocce l’imperatore Tiberio, dividendo il suo tempo fra le cure del potere e quelle dei suoi piaceri immortalati da Svetonio e da Tinto Brass; circa un secolo fa lo psichiatra svedese Axel Munthe recuperò le rovine, costruì una villa e vi si trasferì, raccontando la storia in un bellissimo libro, “La storia di San Michele”, ormai fuori commercio se non dell’usato.
Contemplando l’ineguagliabile panorama che si gode dal picco di Anacapri, Staffan De Mistura potrà meditare sugli errori commessi e sulle tante parole un po’ difficili da capire che ha detto, frasi degne delle ultime parole famose della Domenica del Corriere dei bei tempi: da quella che lui e i due marò erano “un team” o quella che gli indiani
hanno capito che la pazienza dell’Italia è finita”,
a metà fra Cicerone e Mussolini, fino all’ultima di un mese prima del siluramento:
“Dobbiamo reagire con glacialità, ma spero con efficacia”.
Tra i molti articoli che hanno trattato la notizia del siluramento di Staffan De Mistura, quello di Pino Corrias sul Fatto merita speciale citazione:
“Non riuscendo a rimpatriare i due marò italiani, il Governo ha deciso di rimpatriare lui, il molto diplomatico Staffan de Mistura, marchese dalmata, classe 1947, dichiarando “esaurito il suo ruolo”.
Peccato. Ci stavamo abituando ai suoi sorridenti briefing che di quando in quando ci aggiornavano che “un passo avanti è stato fatto” con le autorità indiane, niente paura, “la ragionevolezza prevarrà”. E i marò? “Sono seri. Determinati. Con il morale fermo”. Eccetera.
Questo per una dozzina di viaggetti business class tra Roma e l’India, sempre con guardaroba adeguato alle stagioni – lino, cotone, cachemire – e agli alti consessi convocati in qualità [prima di sottosegretario agli Esteri del Governo tecnico di Mario Monti e poi] di Inviato speciale del governo, nomina di Enrico Letta, mentre ogni filo diplomatico si ingarbugliava, battaglioni di studi legali dislocati sui due emisferi si spedivano raffiche di diffide, deduzioni, memorie.
I tempi del processo si diluivano al punto che tra conflitti legislativi e altri labirinti procedurali, sono trascorsi 26 mesi e ancora non s’è capito chi debba giudicare Massimiliano La Torre e Sebastiano Girone e neppure quale sia esattamente il loro capo di imputazione.
Non proprio un successo diplomatico. Per di più, considerando la statura del nostro Staffan, e a volo d’uccello la sua biografia. Nato da famiglia nobile a Stoccolma. Apolide, federalista, massone. Romano d’adozione, anzi pariolino. Ginnasio dai Gesuiti. Laurea alla Sapienza con tesi preveggente in “Negoziati complessi”. All’Onu dal 1971″.
Staffan De Mistura, prosegue il racconto di Pino Corrias, ha scalato molte
“perigliose missioni destinate ai luoghi insanguinati del pianeta, Ruanda, Somalia, Iraq, Afghanistan. Organizzando dalle sedi diplomatiche più adatte spedizioni umanitarie e assistenza ai profughi. Ma sempre traversando i bordi di quelle immani tragedie da una distanza di sicurezza, parlandone ai convegni e alle cene che li completavano, dove esibiva la sua proverbiale competenza nel baciamano. Carlo Azeglio Ciampi nel 1999 gli conferisce la cittadinanza italiana. Giorgio Napolitano lo nomina Grande Ufficiale. La città di Trieste lo festeggia Dalmata dell’Anno”.
Possibile che, si chiede Pino Corrias,
“di tanti onori in patria, nulla sia trapelato in India?


L’americano Edward Luttwak
“ha risposte semplici a questioni complesse”:
“Staffan è solo un bellimbusto e in India è considerato un cretino”,
anche se facendo così Luttwak, secondo Pino Corrias,
“dimentica quante cose si siano intrecciate intorno a questo braccio di ferro: il nazionalismo indiano che pretende massime pene per gli italiani, gli 8 miliardi di dollari di interscambi commerciali, l’incolumità del nostro ambasciatore Daniele Mancini, varie campagne elettorali in India e persino quella permanente in Italia”.
Anche Vincenzo Nigro, pur non potendo negare il fallimento di De Mistura, gli trova delle attenuanti,
non solo per il precipitare dell’annuncio (“Secondo fonti della Farnesina, l’accelerazione annunciata ieri dalla Mogherini e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti in audizione alla Camera è stata suggerita dal presidente del Consiglio Renzi anche per contrastare gli attacchi al governo sul caso marò a poche settimane dalle elezioni europee. E in effetti della “nuova squadra” che dovrà occuparsi dei due fucilieri di Marina per ora ancora non si ha notizia, se non del fatto che sarà un gruppo di esperti tecnico-giuridici”),
non solo per la correttezza del comportamento di De Mistura (“da “soldato” della diplomazia, ha commentato la scelta del governo dicendo di condividerla, «questa nuova, importante, e necessaria svolta richiede giustamente una nuova squadra di sostegno a tale specifico impegno: sono totalmente convinto che l’Italia saprà riportare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in Patria con onore»),
ma anche per gli ingiusti attacchi di cui è stato vittima da parte di personaggi che dovrebbero solo e sempre tacere:
“Contro De Mistura infieriscono i suoi avversari politici, innanzitutto Ignazio La Russa, che era ministro della Difesa quando fu varata la legge che mise i marò a bordo delle navi civili con procedure e regole di ingaggio che hanno poi prodotto l’incidente di 2 anni fa. Dice La Russa che «con il benservito a De Mistura e il via ad una fase di internazionalizzazione della vicenda ma con tre mesi di ritardo, anche il ministro degli Esteri Mogherini converge sulle posizioni sostenute da sempre da Fratelli d’Italia». De Mistura era stato nominato “inviato speciale” per il caso marò da Monti provocando l’immediata gelosia dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi. Appena possibile, Terzi lo aveva escluso dal negoziato con l’India, e oggi lo attacca anche senza nominarlo: «Mi chiedo se questa del governo Renzi è la tattica ispirata da uno dei protagonisti dello scellerato rinvio in India dei due marò il 22 marzo dell’anno scorso, dopo aver partecipato ad un’opera di convincimento sui due militari, insieme all’allora ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, perché non si opponessero al loro ritorno». Lui, Terzi, approvò il rientro in India, salvo decidere poi di cavalcare il caso per provare a entrare in politica. Cosa che per ora non gli è riuscita”.


Staffan De Mistura, cui il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha dato il benservito da plenipotenziario per la vicenda dei marò in India, si è trovato una collocazione di tutto rispetto e da invidiare: sarà il direttore generale della “Fondazione Axel Munthe”, a Capri, anzi Anacapri. Il posto, ha scritto Vincenzo Nigro su Repubblica, glielo ha dato il Governo della Svezia, dove Staffan De Mistura è nato e di cui era e forse è ancora cittadino.
Staffan De Mistura paga per il fallimento della trattativa per liberare i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dalle grinfie degli indiani.  Magari non tutte le colpe sono sue: lo hanno condizionato le mire del ministro degli Esteri del 2012 Giulio Terzi e del primo ministro Mario Monti, l’inadeguatezza complessiva dell’apparato diplomatico italiano, già apprezzata nelle varie vicende di navi ostaggio dei pirati; tutti elementi che si sono aggiunti a dei probabili limiti individuali.
La nuova sede di Staffan De Mistura è uno dei posti più belli del mondo, sulla punta di Anacapri, dove duemila anni fa viveva nella sua villa diffusa fra le rocce l’imperatore Tiberio, dividendo il suo tempo fra le cure del potere e quelle dei suoi piaceri immortalati da Svetonio e da Tinto Brass; circa un secolo fa lo psichiatra svedese Axel Munthe recuperò le rovine, costruì una villa e vi si trasferì, raccontando la storia in un bellissimo libro, “La storia di San Michele”, ormai fuori commercio se non dell’usato.
Contemplando l’ineguagliabile panorama che si gode dal picco di Anacapri, Staffan De Mistura potrà meditare sugli errori commessi e sulle tante parole un po’ difficili da capire che ha detto, frasi degne delle ultime parole famose della Domenica del Corriere dei bei tempi: da quella che lui e i due marò erano “un team” o quella che gli indiani
hanno capito che la pazienza dell’Italia è finita”,
a metà fra Cicerone e Mussolini, fino all’ultima di un mese prima del siluramento:
“Dobbiamo reagire con glacialità, ma spero con efficacia”.
Tra i molti articoli che hanno trattato la notizia del siluramento di Staffan De Mistura, quello di Pino Corrias sul Fatto merita speciale citazione:
“Non riuscendo a rimpatriare i due marò italiani, il Governo ha deciso di rimpatriare lui, il molto diplomatico Staffan de Mistura, marchese dalmata, classe 1947, dichiarando “esaurito il suo ruolo”.
Peccato. Ci stavamo abituando ai suoi sorridenti briefing che di quando in quando ci aggiornavano che “un passo avanti è stato fatto” con le autorità indiane, niente paura, “la ragionevolezza prevarrà”. E i marò? “Sono seri. Determinati. Con il morale fermo”. Eccetera.
Questo per una dozzina di viaggetti business class tra Roma e l’India, sempre con guardaroba adeguato alle stagioni – lino, cotone, cachemire – e agli alti consessi convocati in qualità [prima di sottosegretario agli Esteri del Governo tecnico di Mario Monti e poi] di Inviato speciale del governo, nomina di Enrico Letta, mentre ogni filo diplomatico si ingarbugliava, battaglioni di studi legali dislocati sui due emisferi si spedivano raffiche di diffide, deduzioni, memorie.
I tempi del processo si diluivano al punto che tra conflitti legislativi e altri labirinti procedurali, sono trascorsi 26 mesi e ancora non s’è capito chi debba giudicare Massimiliano La Torre e Sebastiano Girone e neppure quale sia esattamente il loro capo di imputazione.
Non proprio un successo diplomatico. Per di più, considerando la statura del nostro Staffan, e a volo d’uccello la sua biografia. Nato da famiglia nobile a Stoccolma. Apolide, federalista, massone. Romano d’adozione, anzi pariolino. Ginnasio dai Gesuiti. Laurea alla Sapienza con tesi preveggente in “Negoziati complessi”. All’Onu dal 1971″.
Staffan De Mistura, prosegue il racconto di Pino Corrias, ha scalato molte
“perigliose missioni destinate ai luoghi insanguinati del pianeta, Ruanda, Somalia, Iraq, Afghanistan. Organizzando dalle sedi diplomatiche più adatte spedizioni umanitarie e assistenza ai profughi. Ma sempre traversando i bordi di quelle immani tragedie da una distanza di sicurezza, parlandone ai convegni e alle cene che li completavano, dove esibiva la sua proverbiale competenza nel baciamano. Carlo Azeglio Ciampi nel 1999 gli conferisce la cittadinanza italiana. Giorgio Napolitano lo nomina Grande Ufficiale. La città di Trieste lo festeggia Dalmata dell’Anno”.
Possibile che, si chiede Pino Corrias,
“di tanti onori in patria, nulla sia trapelato in India?
L’americano Edward Luttwak
“ha risposte semplici a questioni complesse”:
“Staffan è solo un bellimbusto e in India è considerato un cretino”,
anche se facendo così Luttwak, secondo Pino Corrias,
“dimentica quante cose si siano intrecciate intorno a questo braccio di ferro: il nazionalismo indiano che pretende massime pene per gli italiani, gli 8 miliardi di dollari di interscambi commerciali, l’incolumità del nostro ambasciatore Daniele Mancini, varie campagne elettorali in India e persino quella permanente in Italia”.
Anche Vincenzo Nigro, pur non potendo negare il fallimento di De Mistura, gli trova delle attenuanti,
non solo per il precipitare dell’annuncio (“Secondo fonti della Farnesina, l’accelerazione annunciata ieri dalla Mogherini e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti in audizione alla Camera è stata suggerita dal presidente del Consiglio Renzi anche per contrastare gli attacchi al governo sul caso marò a poche settimane dalle elezioni europee. E in effetti della “nuova squadra” che dovrà occuparsi dei due fucilieri di Marina per ora ancora non si ha notizia, se non del fatto che sarà un gruppo di esperti tecnico-giuridici”),
non solo per la correttezza del comportamento di De Mistura (“da “soldato” della diplomazia, ha commentato la scelta del governo dicendo di condividerla, «questa nuova, importante, e necessaria svolta richiede giustamente una nuova squadra di sostegno a tale specifico impegno: sono totalmente convinto che l’Italia saprà riportare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in Patria con onore»),
ma anche per gli ingiusti attacchi di cui è stato vittima da parte di personaggi che dovrebbero solo e sempre tacere:
“Contro De Mistura infieriscono i suoi avversari politici, innanzitutto Ignazio La Russa, che era ministro della Difesa quando fu varata la legge che mise i marò a bordo delle navi civili con procedure e regole di ingaggio che hanno poi prodotto l’incidente di 2 anni fa. Dice La Russa che «con il benservito a De Mistura e il via ad una fase di internazionalizzazione della vicenda ma con tre mesi di ritardo, anche il ministro degli Esteri Mogherini converge sulle posizioni sostenute da sempre da Fratelli d’Italia». De Mistura era stato nominato “inviato speciale” per il caso marò da Monti provocando l’immediata gelosia dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi. Appena possibile, Terzi lo aveva escluso dal negoziato con l’India, e oggi lo attacca anche senza nominarlo: «Mi chiedo se questa del governo Renzi è la tattica ispirata da uno dei protagonisti dello scellerato rinvio in India dei due marò il 22 marzo dell’anno scorso, dopo aver partecipato ad un’opera di convincimento sui due militari, insieme all’allora ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, perché non si opponessero al loro ritorno». Lui, Terzi, approvò il rientro in India, salvo decidere poi di cavalcare il caso per provare a entrare in politica. Cosa che per ora non gli è riuscita”.

Pubblicato il 26 aprile 2014

fonte: http://www.blitzquotidiano.it

8 domande da ImolaOggi.it al Presidente della Repubblica





napo



1) Lei non dovrebbe garantire il rispetto “sostanziale” della Costituzione Italiana?

2) Lei non si sente responsabile dei suicidi e delle sofferenze degli italiani?

3) Perchè non pone un termine breve alla soluzione di questo gravissimo problema?

4) Nel 2010 oltre 130 economisti di fama nazionale e internazionale le scrissero una lettera, un accorato appello, per avvertirla della gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si sarebbero risolte attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, alla Istruzione, alla Ricerca, alla Cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli…Perchè non li ha ascoltati?

5) Ora, di nuovo, diversi costituzionalisti di fama nazionale e internazionale hanno hanno deplorato ciò che il governo, illegittimamente sostenuto, dichiara di fare. Perchè lei non fa sentire la sua voce?

6) Questo è un parlamento chiaramente delegittimato dalla sentenza della Consulta che ha cancellato il Porcellum e che doveva fare in fretta una nuova legge elettorale, per poi tornare al voto. Perchè è ancora lì?

7) Questo governo abusivo e questo parlamento delegittimato non possono certo preparare una profonda revisione della Costituzione, che spazia dalla cancellazione del Senato fino alla forma di governo. Perchè lo fanno?

8) Stiamo assistendo impotenti ad una “svolta autoritaria”, al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali, da regime autoritario. Stiamo subendo in silenzio un “golpe democratico”?



India, aumenta il fanatismo violento indù



  





“Effetto Modi”: trascinata dal leader nazionalista, nel mese delle elezioni generali, la risurrezione dei gruppi paramilitari preoccupa le minoranze












C’è un preoccupante aumento del fanatismo indù, violento e aggressivo verso le minoranze religiose cristiane e musulmane, nell’India impegnata nel mese cruciale delle elezioni generali. A partire dal 7 aprile e fino al 12 maggio, infatti, la più imponente democrazia del mondo porta alle urne 815 milioni nelle sedicesime elezioni nazionali dall’indipendenza del paese. I cittadini nel 28 stati e 7 territori che compongono la federazione indiana si recheranno agli oltre 900mila seggi, distribuiti in 543 circoscrizioni, in 9 giorni diversi nel’arco di un mese, e il conteggio finale del lungo processo elettorale è previsto il 16 maggio.

 Protagonista indiscusso, e favorito nei sondaggi per diventare nuovo Primo Ministro è il leader del Bharatiya Janata Party (“Partito del popolo indiano”, BJP), Narendra Modi, attualmente capo del governo nello stato nordoccidentale del Gujarat. Il BJP è un partito conservatore e nazionalista che, a partire dagli anni ‘80 ha fatto le su fortune politiche – ed è già salita al potere nella nazione dal 1998 al 2004 – cavalcando senza esitazione il sentimento religioso indù e sfruttando una ideologia di “purezza religiosa”, definita hindutva, che predica “l’India agli indù” a scapito delle minoranze. Modi è molto popolare tra i giovani e ha iniziato la sua carriera politica nel Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), organizzazione indù di carattere paramilitare che, accanto a un cartello di organizzazioni simili, ha storicamente conservato un approccio radicale, intollerante e violento: fu un ex membro di RSS, dicono i libri di storia, ad assassinare il Mahatma Gandhi, nel 1948.


Oggi “l’effetto Modi” si fa sentire nella società indiana con fenomeni che preoccupano gli osservatori: si fa strada soprattutto tra i giovani l’ideologia esclusivista e discriminatoria promossa dal BJP e i “neo convertiti” che aderiscano ai gruppi locali di RSS si sono moltiplicati in maniera esponenziale. Un’organizzazione che sembrava “in via di estinzione”, ha ricevuto un inatteso impulso e nell’ultimo mese sono nate oltre 2.000 nuove sezioni locali di RSS, che riscuote un rinnovato interesse per vita “da militante”, basata su “formazione del carattere , idealismo , disciplina”. Il tutto condito da una approccio sociale e politico che approva apertamente il sistema castale ( abolito formalmente da 60 anni) e guarda con sospetto le comunità religiose non indù, accusate di “inquinare la nazione”.


Ben si comprende, allora, la preoccupazione dei leader cristiani e musulmani (in un paese dove gli indù costituiscono circa l’80% della popolazione, i musulmani sono il 13%, i cristiani il 2,5%) per le rispettive comunità, già vittime nel passato recente di attacchi di massa. Basti ricordare l’episodio del febbraio 2002, quando i militanti induisti uccisero oltre mille musulmani, nella disputa per un “tempio conteso” nella città santa di Ayodhya. I cristiani, dal canto loro, ricordano i pogrom subiti nello stato di Orissa nel 2008 e, ultimamente, gli oltre 4.000 casi di violenza anticristiana registrati nel 2013. Episodi che includono l’omicidio di 7 fedeli, abusi e percosse su 1.000 donne, 500 bambini e circa 400 preti di diverse confessioni; attacchi a oltre 100 chiese e luoghi di culto cristiano, come documenta il “Rapporto sulle persecuzioni 2013” elaborato da un forum di enti nella società civile indiana. In particolare alcuni importanti stati indiani come il Karnataka e il Maharashtra spiccano come “laboratori dell’estremismo indù”, ben radicato anche in altri stati come Andra Pradesh, Chhattisgarh, Gujarat, Orissa, Madhya Pradesh.


Le minoranze rimarcano evidenti falle nel sistema giuridico indiano, che permettono la diffusione dell’intolleranza religiosa: sotto accusa alcuni provvedimenti legislativi come l’Ordine presidenziale del 1950, che nega ai dalit (fuoricasta) cristiani e musulmani i diritti riconosciuti ai dalit indù (una sorta di discriminazione legalizzata); e le leggi anti-conversione, norme di palese violazione della libertà di coscienza e religione, in vigore in sette stati indiani.


Sta di fatto che, con l’approssimarsi del voto e durante il mese delle elezioni, sono cresciute le tensioni e le violenze sulle minoranze religiose nel paese, come rileva un rapporto pubblicato dall’Ong Christian Solidarity Worldwide (CSW). La violenza è finita anche sotto la lente dell’Onu: Heiner Bielefeldt, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione, in un recente visita in India, ha rimarcato l’urgenza che lo stato garantisca i diritti individuali, sanciti della Costituzione, promuovendo un clima e una prassi di armonia sociale e religiosa. Ma la possibile vittoria elettorale del BJP certo non aiuterebbe a distendere le relazioni tra comunità di fede diversa. 

paolo affatato - 27 aprile 2014 roma
fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it